In questo numero di In Cerchio vi proponiamo una nuova puntata sul “sovvenire” nella Chiesa comunione di don Roberto Laurita pubblicato nel mensile Catechisti Parrocchiali di febbraio 2018 su "Condividere: il gesto di Gesù".
Te ne sarai accorto, spero! Nel mondo ci sono ricchi e poveri. La ricchezza presenta molteplici aspetti, e così anche la povertà.
RICCHI E POVERI
Essere ricco non significa soltanto possedere somme favolose che permettono di condurre un’esistenza da sogno, ma nel disporre largamente di tutto ciò che favorisce un’esistenza tranquilla: il cibo, il lavoro, il denaro, la cultura, gli amici, capacità di comprendere e di mettersi in relazione, di inserirsi nell’ambiente in cui si vive... Essere ricco vuol dire anche «avere» il superfluo, «avere» troppo di tutto. Alcuni sono più ricchi di altri perché il loro superfluo è immenso.
Essere ricco non è un peccato. È una situazione in cui si trovano alcuni membri della famiglia umana.
Essere povero vuol dire essere sprovvisto di ciò che è necessario per vivere un’esistenza normale. Si è poveri quando manca il denaro indispensabile per avere un’abitazione e il nutrimento; quando non si trova lavoro; quando non si può studiare e andare a scuola; quando si è condannati a vivere dei doni che gli altri ci fanno o di quello che gli altri scartano... Alcuni sono più poveri di altri. Ci sono individui e paesi interi che sono condannati alla miseria e riescono a malapena a sopravvivere.
Essere povero non è un peccato. È un male che intacca molti membri innocenti della famiglia umana.
COSA FARE?
I ricchi non sono i cattivi della terra. E i poveri non sono i buoni. Gli uni e gli altri fanno parte della stessa famiglia umana. Ma è possibile permettere che nella famiglia umana continuino delle disuguaglianze così evidenti? È giusto che alcuni accumulino grandi quantità di superfluo, mentre altri restano sempre più sommersi dalla mancanza del necessario?
Essere ricco diventa un peccato quando si conserva egoisticamente per sé tutti i propri tesori e si resta volontariamente indifferenti alla povertà. La ricchezza non è né buona né cattiva: tutto dipende dall’uso che se ne fa. La ricchezza conduce al peccato quando, disponendo di tutto quello che è necessario per lottare contro la povertà, non si fa nulla. Più si è ricchi, più si ha il dovere di condividere.
CONDIVIDERE
Agire in modo che ogni abitante della terra disponga di ciò che gli permette di condurre una vita umana è un dovere di ogni persona. Ricevere la parte che permette di vivere con dignità umana è un diritto.
Condividere vuol dire agire in modo che ognuno riceva il necessario e che nessuno resti escluso. Ogni Paese deve restare vigilante a questo proposito. Ogni cittadino deve essere attento perché i rappresentanti del suo paese lavorino in questa direzione. La condivisione non si pratica solo attraverso un’elemosina in denaro o mediante l’assistenza immediata offerta alle persone che si trovano in difficoltà. Condividere vuol dire mettere in comune le capacità materiali e spirituali di tutti, per inventare soluzioni che permettano ai poveri di farsi carico della loro esistenza, di risollevarsi e di trovare realmente il proprio posto nella famiglia umana, nell’uguaglianza!
SPEZZARE IL PANE, GESTO DI AMORE
Durante il suo passaggio sulla terra, Gesù, il Figlio di Dio, ha praticato la condivisione: questo fa parte dello stile di Dio. C’è un gesto che, più di tutti, risulta eloquente: quando egli ha sfamato la folla che lo seguiva (Mt 14,13-21). Gesù prova compassione per la gente, ma i mezzi a disposizione sono del tutto irrisori: cosa fare con cinque pani e due pesci quando ci sono più di cinquemila bocche?
E tuttavia è proprio partendo da quel poco che Gesù riesce a sfamare tante persone. Il suo gesto non ha proprio nulla di magico: è lo stesso gesto semplice che compiva ogni padre quando si sedeva a tavola con i suoi. Gesù prende i pani a disposizione e, dopo aver invocato il Padre e recitato la benedizione, comincia a spezzarli e li dà ai discepoli perché li distribuiscano.
Spezzare il pane, gesto di solidarietà: la fame dell’altro non è ignorata, dimenticata, messa tra parentesi. Anche per lui c’è un pezzo, a costo di dover limitare quello che si ha a disposizione. Spezzare il pane, gesto di amore: in fondo, infatti, quello che si offre è un poco di noi stessi, del nostro amore, capace di produrre sempre miracoli.
Spezzare il pane, gesto che riassume nel modo più efficace chi è Gesù e che cosa fa della sua vita: egli la spezza per noi perché ognuno abbia parte alla sua gioia e alla sua pace, perché ognuno possa entrare in un’alleanza eterna con Dio.
Ma non lasciamoci prendere troppo facilmente dall’entusiasmo…
Spezzare il pane è un gesto coraggioso, difficile. Chi lo compie rinuncia a mettersene da parte, a pensare solo a se stesso. Chi lo compie muore un poco al proprio egoismo, alla propria voglia di accumulare. Chi lo compie è pronto a spezzare non solo il pane, ma anche il suo tempo, le sue risorse… il suo cuore!
IL VANGELO DIVENTA REALTÀ
Tutta la città serve ai tavoli della mensa diocesana
È aperta per 120 pasti al giorno, 365 giorni l’anno, anche a Pasqua e ad agosto, grazie a 150 volontari, provenienti da associazioni, parrocchie e aziende locali. L’hanno chiamata la Taverna del buon samaritano e si trova a Foligno. A pranzo e a cena ci sono persone senza lavoro, senza casa, immigrati, anziani.
Ogni giorno sono tra 80 e 120 le persone che si siedono a tavola e, a servirli, ci sono tantissimi che si iscrivono nell’agenda dei turni, per aiutare le suore. Grazie alle firme dell’8xmille, un gesto di solidarietà e corresponsabilità che non costa niente in più a chi lo fa, sono arrivati € 40.000 per ristrutturare i locali, oltre ai 30.000 che servono, ogni anno, per gestirla.