SERVIZIO PER LA PROMOZIONE DEL SOSTEGNO ECONOMICO ALLA CHIESA CATTOLICA
della Conferenza Episcopale Italiana

Catechisti Parrocchiali: la Chiesa comunione e l’insegnamento di Gesù

Vi proponiamo una nuova puntata sul “sovvenire” nella Chiesa comunione di don Roberto Laurita pubblicato nel mensile Catechisti Parrocchiali di gennaio 2018 su “L’insegnamento di Gesù”. Accanto a una sorta di quadretto ideale della comunità cristiana delle origini, Luca non esita a mostrare anche come sia difficile staccarsi dai propri beni per donarli. AL TEMPO […]
22 Maggio 2018

Vi proponiamo una nuova puntata sul “sovvenire” nella Chiesa comunione di don Roberto Laurita pubblicato nel mensile Catechisti Parrocchiali di gennaio 2018 su “L’insegnamento di Gesù”. Accanto a una sorta di quadretto ideale della comunità cristiana delle origini, Luca non esita a mostrare anche come sia difficile staccarsi dai propri beni per donarli.

AL TEMPO DI LUCA

Quando Luca scrive gli Atti, le differenze tra ricchi e poveri sono aumentate. Egli ha incontrato schiavi e mercanti, mendicanti e alti funzionari. Conosce da vicino le necessità delle vittime della guerra e della carestia. Sa che sono necessarie raccolte di aiuti che vadano al di là dell’ambito di un piccolo gruppo. Per questo vuole destare l’animo dei suoi lettori, tracciando per essi un quadro che mostra una comunità cristiana molto generosa. E lo completa con due esempi. Uno positivo, quello di Barnaba, che un certo numero di lettori di Luca ha sicuramente incontrato. L’altro negativo, quello di una coppia cristiana: Anania e Saffira (At 4,36 - 5,11).

DUE CASI BEN DIVERSI

Barnaba possiede un campo. Lo vende, e poi dona il ricavato agli apostoli perché lo distribuiscano secondo i bisogni di ciascuno. Anche Anania e Saffira vendono una loro proprietà. Ma tengono per sé una parte del denaro, perché vogliono approfittare dell’aiuto della comunità, ma anche del denaro che hanno conservato. Barnaba diventerà un apostolo operoso. Anania e Saffira, invece, sperimenteranno come il denaro può uccidere. Il peccato di questi ultimi non consiste tanto nell’imbroglio, quanto nel fatto che hanno colpito la fraternità e l’unione dei cuori, e quindi lo Spirito Santo che è l’anima della comunità.

L’INSEGNAMENTO DI GESÙ

Anche in Palestina, al tempo di Gesù, alcuni arrivano a raggranellare molto denaro, ad approfittare della vita, a vivere nel lusso. Altri, invece, devono domandarsi ogni giorno: «Che cosa mangerò oggi? Con quale mantello potrò coprirmi questa sera?». Molti piccoli proprietari di terra sono oppressi da debiti e tasse. Molti malati non possono curarsi. E gli stranieri di passaggio sono perduti in un Paese che non è il loro.

Nel racconto del giudizio finale, riferito da Matteo (25,31-46), Gesù mostra ai suoi discepoli la strada da seguire: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi».

Il criterio per valutare la nostra vita sarà estremamente concreto: abbiamo sfamato quelli che erano senza cibo, abbiamo accolto chi era straniero o privo dell’essenziale, abbiamo visitato e soccorso chi era malato o in carcere? Solo in questo caso ci sentiremo chiamare «benedetti». Se, invece, abbiamo ignorato le richieste di chi aveva bisogno di pane e di vestiti, di una casa e di un lavoro, di attenzione e di aiuto, ci verrà detto che abbiamo sciupato la nostra esistenza.

DOVE SI PUÒ VEDERE IL VOLTO DI GESÙ?

La risposta è molto chiara: sui volti degli uomini e delle donne. E, in particolare, nei volti e nella vita di coloro che soffrono e mancano del necessario. I popoli che hanno fame, quelli che vengono sfruttati, quelli che sprofondano nella miseria, quelli che sono stati parcheggiati nei campi profughi, quelli che sono obbligati a mendicare, quelli che si trovano in un letto di dolore, quelli che vivono per la strada, quelli che cercano il cibo nelle immondizie, quelli che sono perseguitati a causa della razza o della loro religione, quelli che sono abbandonati alla solitudine, perché vecchi, quelli che sono stati in carcere e non trovano lavoro… 

IL PERICOLO DELLA RICCHEZZA

Gesù lo ha fatto notare a più riprese e ha raccontato la parabola del ricco e del povero Lazzaro (Lc 16,19-31) proprio per metterci di fronte a un rischio terribile: quello di non accorgerci neppure dei poveri. Qual è, di fatto, la colpa del ricco? Non aveva neppure visto Lazzaro e non aveva mosso un dito per lui. I cani un po’ di compassione gliel’avevano mostrata. A modo loro, naturalmente. Lui, niente. Non un soldo. Non un tozzo di pane. Neppure un po’ di avanzi. Non un vestito con cui il povero potesse coprirsi. Neppure un abito smesso, logoro. Non una parola di compassione e di misericordia.

Ecco cosa significa «peccato di omissione». Ecco cosa ci tiene irrimediabilmente lontani da Dio. Una malattia che si attacca al nostro cuore e da lì raggiunge gli occhi e le orecchie. Il cuore si indurisce, non prova più compassione. La vista si annebbia: gli occhi non riescono più a scorgere il prossimo e a ravvisare i tratti di un fratello. Le orecchie si tappano e non sentono nessuna invocazione, nessun grido di aiuto.

DA ARSENALE MILITARE AD AVAMPOSTO DI MISERICORDIA

È accaduto a La Spezia, già 10 anni fa. Capannoni che dovevano servire a fare da magazzino di armi ora sono diventati: un dormitorio per 60 persone (prezioso quando il freddo si fa sentire e c’è gente che non ha un tetto); un refettorio dove servire pasti caldi; servizi igienici, con docce e tutto quello che serve per la pulizia personale. Al posto delle armi sono stipati cibi di prima necessità (grazie al fondo FEAL dell’Unione Europea e al Banco alimentare) e c’è addirittura un emporio, cioè «un supermercato senza casse», perché le famiglie bisognose possono fare la spesa senza pagare. Chi ha organizzato tutto questo? La Caritas diocesana, grazie anche alle risorse del “famoso” 8xmille e quindi alle firme di tanti italiani che lo destinano liberamente e con fiducia ogni anno alla Chiesa cattolica.