SERVIZIO PER LA PROMOZIONE DEL SOSTEGNO ECONOMICO ALLA CHIESA CATTOLICA
della Conferenza Episcopale Italiana

“Un cristiano credibile che ispira i giovani”

“Fu il martirio a rivelare la sua fedeltà al Vangelo e al Paese”. E influì anche sull’anatema del ’93 contro i mafiosi di Papa San Giovanni Paolo II. Parla don Giuseppe Livatino, parroco di Sant’Oliva a Raffadali (AG), e postulatore della causa di beatificazione del giudice, dichiarato Servo di Dio
2 Settembre 2017

 

“Se dovessi definire l’esperienza terrena di Rosario Livatino, la racchiuderei senza dubbio nelle parole amore per gli altri”. Arciprete e parroco di Sant’Oliva a Raffadali (Agrigento), don Giuseppe Livatino è il postulatore della causa di beatificazione del Servo di Dio Rosario Livatino (sono parenti soltanto alla lontana), il giovane magistrato ucciso dalla mafia il 21 settembre 1990 mentre al mattino viaggiava in auto da Canicattì per raggiungere il tribunale di Agrigento. Lo freddano 4 sicari. Non aveva compiuto ancora 38 anni. Nel 1993 in visita in Sicilia San Giovanni Paolo II incontrò gli anziani genitori del giudice. Il Papa restò turbato. Poche ore dopo, alla Valle dei Templi, scandì il suo anatema contro i mafiosi: “Convertitevi! Una volta verrà il giudizio di Dio!”. Dunque una sequenza determinante.


Don Giuseppe, l’iter di beatificazione del ‘giudice ragazzino’ è stato avviato nel 2011. A che punto ci troviamo ed è possibile fare una previsione sui tempi?

Entro l’anno, con l’escussione dell’ultimo testimone, dovrebbe concludersi la fase diocesana. Poi inizierà la fase romana, in cui la Congregazione delle Cause dei Santi sarà chiamata a esaminare il presunto miracolo attribuito a Rosario. Difficile ipotizzare una data.

Di che miracolo si tratta?

Nel 1996 in Piemonte ad una donna, Elena Valdetara Canale, viene diagnosticato un linfoma di Hodgkin. La situazione appare subito disperata. Non può neanche sottoporsi a chemioterapia. Le rimangono pochi mesi di vita. Ma una notte un giovane sconosciuto in abito talare le appare in sogno e la rassicura: riuscirà a festeggiare il 25° anniversario di nozze previsto nel 2000. Da quel momento Elena migliora. E poco tempo dopo riconosce nella foto di un inserto del Corriere della Sera il giovane del sogno: Rosario Livatino. La toga da magistrato era stata confusa con una tonaca sacerdotale. Nel 2000 fu dichiarata la definitiva guarigione della donna, inspiegabile - secondo i medici - da un punto di vista scientifico. Inoltre lo spirito di Rosario si è presentato in due casi di esorcismo.

A 26 anni in magistratura Livatino, ininfluenzabile e lontano dalle cronache, non aveva remore a chiedere conto ad amministratori e politici. È vero interrogò anche un ministro?

È così, nel 1984 aveva interrogato, come persona informata sui fatti, il più volte ministro Calogero Mannino.

Che eredità spirituale ha lasciato ai giovani Rosario?

Il suo esempio di vita, in virtù della sua grande fede, per il rigore morale e per il senso della giustizia, è un grande modello. Riceviamo email da tutto il mondo di ragazzi, tra i quali molti seminaristi o magistrati in pectore, che dicono di ispirarsi a lui.

Papa Francesco nel 2014 nella Piana di Sibari, in Calabria, ha scomunicato i mafiosi ‘adoratori del male, che disprezzano il bene comune’. E sono allo studio della Santa Sede nuovi pronunciamenti su mafia e corruzione. Secondo lei è verosimile che nell’assassinio del giudice Livatino dietro la Stidda (organizzazione criminale rivale e poi gregaria di Cosa Nostra) si nascondano mandanti eccellenti?

È molto probabile. Anche se in sede processuale non è stato dimostrato. Ricordo in proposito che Rosario negli ultimi tempi era alla sezione misure di prevenzione e interveniva sui patrimoni. Indagava inoltre su lobby, massoneria e voto di scambio. Fu lui ad avviare la cosiddetta “Tangentopoli siciliana”.

Rosario ha mai avuto dubbi sulla fede?
No. La sua fede molto profonda lo ha accompagnato per tutta la vita. Impegnato nell’Azione Cattolica, era un assiduo frequentatore dell’Eucaristia. Ogni sua agendina si apre con la sigla ‘S.T. D.’ che significa Sub tutela Dei, sotto lo sguardo di Dio. Era la frase della sua esistenza. Sempre dalle agendine emerge che tra 1984 e ‘86 visse un periodo molto difficile, dovuto probabilmente a minacce ricevute e a incomprensioni con i colleghi. Ne uscì riponendo tutto nelle mani del Signore.
Come interpretava il suo ruolo di magistrato?

Per lui era al pari di una missione sacerdotale. In ogni momento si ispirava al Vangelo. Sempre attento, tra l’altro, alla dignità degli imputati e dei condannati. ‘Il giudice –scriveva- deve rifuggire vanità e superbia, e sentire tutto il peso della funzione che ricopre’.

Quali erano le sue paure?

Su tutte la sofferenza degli altri. Aveva una fidanzata ma non si sposò per non lasciare orfani e una vedova. Chiese al suo Procuratore Capo le inchieste di mafia, perché era l’unico tra i colleghi a non avere famiglia. Inoltre rifiutò la scorta.

E con i coetanei che rapporto aveva? E’ vero che a scuola lo chiamavano “Centouno anni”?
Era un ragazzo riservato ma assolutamente solare. Amava molto i rapporti umani. E’ vero, gli amici lo chiamavano “Centouno anni” ma per la sua maturità e l’altruismo. Perfino quand’era scolaro spesso rinunciava alla ricreazione per aiutare un compagno per un’interrogazione. Questo era Rosario”.

 


“IO SONO UNA MISSIONE”
Il giudice “ragazzino” modello per le vocazioni

Livatino figura-guida nella ricerca della vocazione, sacerdotale e laica. Con il titolo Io sono una missione è stata dedicata a lui la scorsa edizione del percorso per animatori del Centro regionale siciliano per le vocazioni. “Al centro il confronto con gli ideali, i progetti, la responsabilità, la profezia, il martirio del giudice Livatino” ha spiegato mons. Pietro Maria Fragnelli, vescovo di Trapani e delegato per le vocazioni della Conferenza episcopale siciliana. Destinatari: presbiteri, seminaristi e novizi, coppie di sposi, giovani, educatori e catechisti. A partire da domande come queste: Quali trame di peccato rivela l’abbandono dei giusti? E’ inevitabile che persone come Rosario debbano venire uccisi? Quali vie per una profezia collettiva? E ancora, come nella vita nascosta di Livatino, l’importanza della relazione con l’Eucarestia e l’adorazione, il comunicarsi spessissimo e andare a Messa, fonte e roccia della vita cristiana. Dal sacrificio dei martiri di giustizia, fiorisce la speranza di italiani differenti, sempre meno timorosi di fronte alla prevaricazione delle mafie, fedeli alla Parola di vita. R.M.