DON GIOVANNI NERVO
QUEL PRETE UMILE
CHE FONDÒ LA CARITAS ITALIANA
Un uomo sobrio e umile. Padre dei poveri, dei deboli e degli ultimi. Una guida e un testimone di coerenza evangelica. Don Giovanni Nervo non è noto al grande pubblico ma da solo diede vita a un progetto caritativo maestoso, i cui effetti sono tuttora sotto i nostri occhi, mentre lui, il fondatore della Caritas italiana, si è spento a 94 anni, lo scorso 21 marzo, in un centro della diocesi di Padova.
Quando Paolo VI nel 1971 allindomani del Concilio Vaticano II, sciolse la Pontificia Opera Assistenza (POA) e costituì la Caritas, era convinto che il primo passo verso la carità fosse la giustizia, e che la Chiesa dovesse avere una funzione pedagogica e non assistenziale.Una rivoluzione profonda. Affidò presidenza e organizzazione dellente a don Nervo che, fedele a queste indicazioni, impresse al nuovo organismo Cei lo spirito di rinnovamento scaturito dal Concilio. «La realtà» spiegava il sacerdote «ci ha aiutato a camminare concretamente alla luce dei principi dello Statuto. I primi due grandi banchi di prova, ossia limpegno tra i profughi nelle zone terremotate del Friuli nel 1976 (che gli valse una laurea honoris causa in Economia dellUniversità di Udine, ndr) e lemergenza dei profughi vietnamiti, ci hanno insegnato la comunione ecclesiale e il valore dellaccoglienza».
Nato a Casalpusterlengo (Lodi) nel 1918, in un famiglia proveniente dal Vicentino, profugo e orfano di padre, fu ordinato nel 1941, in piena guerra. Staffetta durante la Resistenza, ebbe sempre come obiettivo la pace. La quasi totalità della sua vita fu dedicata al volontariato, dorsale del suo progetto. Fu primo presidente del coordinamento associazioni del volontariato e della protezione civile. Nel 1975 ottenne che la Caritas accogliesse gli obiettori di coscienza (in trentanni oltre 100mila giovani, impegnati radicalmente per gli ultimi). Don Giovanni nei suoi numerosi scritti fonda la carità nellEucaristia. E non risparmia richiami alla società italiana che, a parer suo, si dimostra inadeguata ad affrontare le principali sfide umane del nostro tempo. Come le migrazioni, fenomeno di lunga durata, trattato «con imbarazzante miopia», interrogandosi troppo poco sulle ragioni e le ingiustizie che spingono le persone a partire (per la guerra nel 60% dei casi, indica lOnu), e sul bisogno di loro da parte del mondo sviluppato. La pace sulla Terra va invece costruita era sua convinzione preparando le condizioni perché culture e religioni potessero imparare a convivere. «Se vuole poter continuare a pregare coerentemente il Padre Nostro, la Chiesa deve educare le coscienze» spiegava. «Abbiamo portato aiuto, ma ha anche formato e sensibilizzato la cultura pubblica». Un compito da assolvere con il dono della parresìa, la franchezza. «Bisogna parlare chiaro. Con amore, certo. Ma non dobbiamo avere paura di andare controcorrente, o pagare di persona» diceva «per difendere la dignità dei più deboli. Non dobbiamo dare come carità quello che è dovuto per giustizia». Sembra di ascoltare le parole di Papa Francesco. S.N.
DON TONINO BELLO
«LA CHIESA DELLA STOLA
E DEL GREMBIULE»
Don Tonino Bello aveva 27 anni quando, nel 1962, si aprì il Concilio Vaticano II: non fu dunque un Padre conciliare, ma lentusiasmo teologico e pastorale, sempre più effervescente, di quel periodo lo investì totalmente nella sua giovinezza sacerdotale. Quando dunque, ventanni dopo lapertura del Concilio, nel 1982, fu ordinato vescovo, improntò subito la sua figura pastorale allo spirito del rinnovamento conciliare. Ascoltino gli umili e si rallegrino (Salmo 34) era il suo motto episcopale: un riferimento ai piccoli cioè agli ultimi, che sono i primi nellottica del Regno, ed un riferimento alla gioia, che caratterizza i discepoli del Risorto: quasi direi una sintesi programmatica delle quattro Costituzioni conciliari.
Nei primi anni di episcopato avviò il lavoro di stesura dellampio e articolato Progetto pastorale Insieme alla sequela di Cristo sul passo degli ultimi, che già nel titolo assomma una serie di riferimenti allusivi, tutti conciliari: a papa Montini (cristocentrismo) e al cardinale Pellegrino (pastorale comunitaria e comunionale); a Lercaro e a Dossetti (Chiesa povera) e perfino, in chiave ecumenica, a Bonhoeffer (sequela). Si tratta di un Progetto con una architettura a tre piani: gli ambiti della Parola (la Parola annunciata, celebrata, testimoniata), gli operatori della Parola, gli strumenti della Parola. Ma allapprofondimento dei tre ambiti del Progetto, don Tonino premetteva unintroduzione in cui accendeva le sue luci di posizione, cioè i criteri di orientamento, le scelte pastorali di fondo: privilegiare levangelizzazione, ristabilire il primato della spiritualità, partire dagli ultimi. Questo Progetto di don Tonino rappresenta uno snodo decisivo e importante: da una parte, recepisce il senso profondo della riforma conciliare, ormai decantato ed essenzializzato nelle esperienze pastorali post-conciliari, alle quali egli si richiamava; dallaltra, lancia, con forza profetica, una prospettiva di lungo periodo, valida ancora per oggi e per domani. La prospettiva cioè di una vera pastorale missionaria, secondo il Vaticano II, adeguata alle sfide del terzo millennio cristiano. D.N.
Idea centrale nei documenti del Concilio è la koinonia/comunione, fondata sulla Scrittura, e tenuta in grande onore anche dalla Chiesa antica. Molto è stato fatto dal Concilio Vaticano II perché la Chiesa-comunione fosse concretamente tradotta nella vita. Da essa scaturiscono partecipazione e corresponsabilità in tutti i suoi membri, in un nuovo stile di collaborazione tra vescovi, presbiteri e laici. E tra i migliori frutti del Concilio cè proprio lo spirito di disponibilità con cui molti laici si sono messi al servizio della Chiesa. Sul modello della colletta di Gerusalemme, anche la Chiesa italiana ha così promosso le due forme di sostegno economico ecclesiale, l8xmille e le Offerte per i nostri sacerdoti. Per questo servizio essi ringrazieranno Dio, per la generosità della vostra comunione con tutti (2Cor 9,13).
Alessio De Mauro