È una lunga strada quella del perdono. Copre distanze siderali. Non amo i fraintendimenti sul perdonare istantaneo, né mirato ai benefici di legge. Parlo dellamare i nemici del discorso delle Beatitudini. E lì mi ha portato la Parola di Dio. Me come tanti familiari delle vittime del terrorismo e delle stragi. Dal 2008 finalmente cè una giornata in cui il Paese ricorda i nostri cari e le loro scelte di fedeltà alla democrazia: il 9 maggio, la stessa data del ritrovamento di mio padre in via Caetani.
Avrei preferito fosse il 2 giugno, festa della Repubblica, per sentirli veramente reclamati dallintero Paese. Intanto però è un inizio, che ha accelerato i nostri percorsi privati. Perché serve laiuto di tutti per rimettere il passato al suo posto. Quello dei cittadini di oggi, che devono parlare di più di quella stagione ai giovani. Degli storici. E anche dei responsabili di quelle morti.
Dopo la ferita inferta al Paese, imparando il perdono ho incontrato tanti uomini di Chiesa: penso al servizio umile dei confessori. Tra tutti, don Salvatore, nella mia parrocchia di San Giuseppe al Trionfale, che mi parlava dellamore di Dio che non viene mai meno. Lesistenza è talmente intessuta della loro presenza che è impossibile pensarla senza i sacerdoti. Ci sono quelli che mi hanno aperto le porte delle loro parrocchie. E poi i cappellani carcerari che, insieme a molte religiose, hanno fatto breccia in esistenze violente. Come padre Adolfo Bachelet, gesuita e fratello di Vittorio, vicepresidente del Csm ucciso dalle Br, che nel suo libro Tornate ad essere uomini riferisce i suoi oltre 200 incontri con i terroristi. O suor Teresilla Barillà, volontaria tra i detenuti di Rebibbia.
Li ha considerati uomini, e li ha obbligati ad essere uomini. Certo, bisogna essere in due per fare passi di perdono, ma ci vuole anche la società intera. Nel 2011 anchio strinsi la mano a Franco Bonisoli, brigatista del gruppo di fuoco di via Fani, dopo anni di incontri con un uomo cambiato. Chi deve perdonare, chi si deve muovere prima, se non chi è stato offeso? Tanto più che il Vangelo sempre mi obbliga a considerarmi persona che è stata perdonata da Dio.
Così ho incontrato a metà strada, in condizioni di parità, chi aveva intrapreso un suo personale cammino dopo i delitti commessi. Mio padre, Aldo Moro non posso pensare che si perda con me, avevo bisogno di affidarlo a qualcuno. Dopo il sacrificio, lui e le altre vittime, devono diventare una Storia di tutti. Lho capito leggendo con 12 anni di ritardo la sua lettera daddio per me, fatta ritrovare, con inutile crudeltà, solo nel secondo sopralluogo in via Montenevoso.
Non immaginavamo ne avesse lasciata una per ogni familiare. Lamore e la fede di quelle parole mi hanno gradualmente restituito al presente, oltre quei 55 giorni in cui non avevo potuto salvarlo. Fino a quel momento la sua era stata, come per tanti uccisi in strada, una morte senza addio. Tra noi solo un cenno attraverso la porta la mattina del sequestro, il 16 marzo, perché facevo tardi al lavoro. Ciao. Ciao.