SERVIZIO PER LA PROMOZIONE DEL SOSTEGNO ECONOMICO ALLA CHIESA CATTOLICA
della Conferenza Episcopale Italiana

«Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce»

Il Bambino che nasce a Natale resta in ogni tempo la più grande speranza dell’umanità. Anche nei giorni che viviamo, con i timori per la pandemia, i nostri cari, il lavoro e il futuro comune. Il biblista padre Fernando Armellini ci guida alla scoperta della promessa di Dio attraverso il tema della luce, metafora della presenza del Signore nella nostra storia, dalla Genesi ai Vangeli.
4 Novembre 2020
di padre Fernando Armellini foto AGENZIA ROMANO SICILIANI / CREATIVE COMMONS
 
Luce” è la prima parola che Dio ha pronunciato (Gen 1,3). Era cosa buona (Gen 1,4) e l’uomo non ha più smesso di ricercarla. Chi nasce viene alla luce, chi muore scende nel regno delle tenebre. Per questo gli uomini hanno paura e rifuggono dall’oscurità. La luce richiama il mondo di Dio avvolto di luce come di un manto (Sal 104,2). Dio è luce e in lui non c’è tenebra alcuna – dice Giovanni (1Gv 1,5) associando la tenebra al male, al peccato. Due mondi inconciliabili che fin dall’inizio Dio ha separato. Non li ritroveremo più insieme nella Bibbia. Nel Salmo 19 il giorno e la notte inneggiano al Creatore ma non mischiano le loro voci: Il giorno al giorno ne affida il racconto e la notte alla notte ne trasmette notizia (Sal 19,3). Se si confondono, riemerge il caos primordiale, il disordine nemico della vita: Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre (Is 5,20).

 

UNA LUCE RIFULSE
LA LUNGA ATTESA DELL'EMMANUELE
Al simbolismo luce-tenebra ricorrono gli autori sacri per descrivere i giorni lieti e i drammi della storia di Israele. Come quando il profeta vede scendere dal Cielo una rugiada di luce per rischiarare il mondo (Is 26,19). Isaia ha vissuto gli anni drammatici dell’espansione degli assiri nell’antico Medio Oriente. Ogni primavera i loro eserciti partivano alla conquista di nuove terre. Assoggettavano popoli, compivano crudeltà inaudite. Avevano devastato anche la Galilea, deportandone in massa la popolazione. Pareva che il Signore si fosse dimenticato del suo popolo. In quella lunga notte di violenze e terrore, notte anche della fede e della speranza, Isaia compone il canto che ascoltiamo nella Messa di mezzanotte di Natale. L’occasione è l’ascesa al trono del figlio del re Acaz, Ezechia, di soli cinque anni. Il profeta lo vede come il sorgere del nuovo giorno dopo la notte dell’oppressione assira: Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia. Il bastone dell’aguzzino tu hai spezzato. Poiché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio, grande sarà il suo potere e la pace non avrà fine (Is 9,1-6). Isaia del bambino Ezechia ha predetto la nascita e il nome simbolico, Emmanuele (Is 7,14). In lui scorge, in germoglio, le migliori virtù dei suoi antenati: la saggezza di Salomone (sarà prodigio di consigliere); la fede dei patriarchi (padre per sempre); il valore di Davide (un guerriero forte come un dio) e soprattutto principe della pace (Is 9,5). Sarà lui l’atteso figlio di Davide promesso dal profeta Natan? Il giovane Isaia forse lo spera. Rimarrà deluso. Passano quarant’anni da quei giorni, alla fine dell’VIII secolo a.C. e Isaia, ormai vecchio, ripensa alla profezia che il Signore ha posto sulla sua bocca all’incoronazione del bambino Ezechia. Ora lo sa, non era lui l’Emmanuele. Eppure, le promesse fatte da Dio per bocca dei suoi profeti – Isaia ne è certo – si realizzeranno. E manifesta la sua certezza nella fedeltà di Dio nel suo ultimo, stupendo oracolo messianico: Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici. Su di lui si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e d’intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore. Il lupo dimorerà insieme con l’agnello; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo li guiderà. (Is 11,1-6). Nessuno dei re d’Israele ha mai realizzato queste profezie. Eppure, anche nei momenti più bui della sua storia, anche quando la dinastia davidica fu stroncata dai babilonesi, Israele ha continuato a credere alle promesse di Dio fatte per bocca dei profeti.

NELLE PROVE DELLA STORIA
“QUANTO DURERA’ LA NOTTE?”
Oggi noi conosciamo il Bambino che ha realizzato le profezie. La sua venuta è stata annunciata da Zaccaria come sole che sorge dall’alto, per risplendere su quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte (Lc 1,78-79). E il vecchio Simeone lo ha accolto fra le sue braccia. Il Bambino annunciato era il figlio di Maria, era lui la luce per illuminare le genti (Lc 2,32). Nella storia d’Israele i profeti hanno educato il popolo ad attendere sempre la luce del Cielo. Un messaggio attuale in ogni tempo. Un profeta anonimo del post-esilio a Gerusalemme, mentre nel 586 a.C. la città era stata ridotta in macerie dai babilonesi, un mattino, davanti al sorgere del nuovo giorno, notò che essa – situata sul monte – era coronata dai primi raggi di sole, mentre le due valli che la fiancheggiano – la Geenna e il Cedron – restavano avvolte nelle tenebre della notte. Lì coglie il segno del destino glorioso che la attende e, con la gioia di chi crede che il Signore non dimentica il suo popolo, esclama rivolto alla città: Àlzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te. Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge i popoli; ma su di te risplende il Signore’(Is 60,1-2). È finita la notte. Gerusalemme deve abbandonare l’abito del lutto: Alza gli occhi intorno e guarda! I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio (Is 60,3-4). Non attirerà a sé solo i popoli stranieri ma anche i deportati torneranno a lei. Molti oggi, nel mezzo della dura prova della pandemia, dei timori per il lavoro, degli scandali della Chiesa o dell’indifferenza verso Dio, abbassano gli occhi rassegnati. Quanto durerà la notte? (Is 21,11). Il profeta non abbassa gli occhi di fronte alla città ferita perché la vede con lo sguardo di Dio. La sua fede nel Signore gli permette di scorgere il nuovo giorno: Allora guarderai e sarai raggiante, palpiterà e si dilaterà il tuo cuore (Is 60,5). È nella notte che celebriamo la Messa del Natale. Mentre fuori il mondo è nell’oscurità, le nostre chiese sono inondate di luce, anche i paramenti bianchi richiamano la luce. Siamo la comunità che ha visto giungere nel mondo la luce che splende nelle tenebre, luce vera, quella che illumina ogni uomo (Gv 1,5.9). Chi non l’accoglie rimarrà nelle tenebre.

 

POVERTÀ E SERVIZIO
VERO VOLTO DI DIO NELLA STORIA 
Nella grotta della Natività per la prima volta gli uomini hanno contemplato il volto del vero Dio. Mentre attendevano una sua manifestazione spettacolare, egli è apparso, in tutta la sua grandezza: un bambino povero, indifeso, avvolto in fasce da una madre premurosa. È stato solo l’inizio della dissoluzione della tenebra che fino a quel momento aveva avvolto il volto di Dio. Da quel giorno si è cominciato a capire che il vero Dio è amore, gratuito e incondizionato. Fu rischiarata la tenebra che gravava sul volto dell’uomo: all’apice delle grandezze si collocava Ottaviano, l’Augusto, il dominatore del mondo che poteva censire, contare gli innumerevoli sudditi. All’ultimo gradino i servi, che non contavano nulla. Da questa menzogna sull’uomo avevano origine le guerre, le violenze, le ingiustizie. La luce della Parola giunta dal Cielo ha capovolto la scala di valori: veramente grande è chi si fa servo. Ma c’è un’ultima grotta, quella del sepolcro, la più buia e temuta di tutte. Nella Pasqua è entrata in essa la luce della vita. Era la luce degli uomini e le tenebre non l’hanno vinta (Gv 1,4). La Luce è venuta nel mondo per portare la vita dell’Eterno e introdurre tutti là dove non ci sarà più notte. E non avranno bisogno di luce di lampada, né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà e regneranno nei secoli dei secoli (Ap 22,5). l