TARANTO NELLA TERRA DELL'EX ILVA, LA CHIESA È IN PRIMA LINEA PER L'UOMO
Senza lavoro e senza salute, non c’è futuro
Occorre rendere i giovani «protagonisti di questa battaglia» ma soprattutto «bisogna sognare in grande»: è la lezione che Greta Thunberg e i giovani che l’hanno affiancata stanno impartendo a tutto il mondo. È questa la convinzione che da nove anni anima il ministero di don Antonio Panico, 53 anni, vicario episcopale per i problemi sociali e la salvaguardia del creato dell’arcidiocesi di Taranto, docente di Sociologia generale alla LUMSA e di Dottrina sociale della Chiesa presso l’ISSR Romano Guardini di Taranto. Si tratta di uno dei pochissimi preti in Italia con una trentennale esperienza sociale e cultura ambientalista. E proprio per questo l’arcivescovo Filippo Santoro lo ha voluto tra i suoi più stretti collaboratori con la creazione di un Vicariato per l’ambiente all’indomani del clamoroso sequestro «senza facoltà d’uso» nel luglio 2012 dei parchi minerali, delle cokerie, dell’agglomerato, degli altiforni, delle acciaierie e dell’area Gestione rottami ferrosi dello stabilimento Ilva, il più grande polo siderurgico d’Europa.
«Nell’estate del 2012 – racconta – ci trovammo a prendere posizione sulla frattura che si era creata in città, divisa tra diritto al lavoro e diritto alla vita. Capimmo che dovevamo avviare un dialogo fra tutti gli attori su questo aspetto: dovevamo impegnarci per una ricomposizione fra chi tendeva a salvaguardare il lavoro e chi, soprattutto figli e genitori di operai morti per le esalazioni respirate, era deciso a far prevalere l’idea che nessuno più dovesse morire per andare a lavorare».
Sotto la guida dell’arcivescovo Santoro, che è stato per 27 anni in Brasile e dal 2015 a maggio 2021 è stato presidente della Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, con don Antonio la Chiesa tarantina è riuscita in questi anni ad avviare un tavolo di dialogo istituzionale sull’ex Ilva con i ministri competenti, le autorità locali, gli esponenti del mondo della sanità e delle associazioni ambientaliste. Ma si è anche mossa sul versante dell’educazione ambientale nelle scuole e della produzione culturale e scientifica con la creazione della Commissione diocesana per la Custodia del Creato formata da tecnici e da persone interessate a questo tema che seguono le evoluzioni dell’acciaio verde che già viene prodotto in Germania e altrove, con la speranza che possa venir presto prodotto anche dalla ArcelorMittal.
«La situazione oggi resta incerta – ricorda don Antonio – sia sulla conversione degli impianti sia sul versante occupazionale.
È proprio l’indeterminatezza della proprietà a non lasciare margine all’ottimismo: poco o nulla è stato fatto, il problema della salute in questo momento è in sospeso perché con la pandemia si produce meno e ci sono meno emissioni. Di questo siamo lieti, ma se e quando aumenterà la produzione gli impianti risulteranno obsoleti e andranno sostituiti con tecnologie compatibili con l’ambiente e più sicure per la salute. La Chiesa non vuole imporre soluzioni tecniche, ma è promotrice di un tessuto sociale che abbia cura degli ultimi, e a Taranto la promozione umana non può che passare dall’ex Ilva.
Come cristiani dobbiamo esser presenti in questo dibattito con competenza: siamo consapevoli che devono essere le istituzioni a prendere decisioni, certamente non dobbiamo invadere campi, ma le cose le sappiamo e dobbiamo dirle, dobbiamo essere di supporto in base al principio della solidarietà applicata». Quel che conta più di tutto per invertire la rotta, rimarca, è coinvolgere i più giovani. È questo il senso della capillare educazione alla salvaguardia del creato avviata in tutte le scuole della diocesi con un concorso partecipatissimo giunto alla sesta edizione che ha scatenato una vera e propria gara di buone prassi di sostenibilità ambientale. «Si tratta di un progetto che ci rincuora e ci entusiasma: la dimostrazione che per andare lontano è assolutamente indispensabile affidarci ai giovani».
M.B.
OTTOBRE 2021
La prossima Settimana sociale
Dal 21 al 24 ottobre 2021 sarà proprio Taranto ad ospitare la 49ª Settimana sociale dei cattolici italiani, sul tema Il pianeta che speriamo. Ambiente, lavoro, futuro. #tuttoèconnesso. Una scelta certamente non casuale, visto che proprio la città pugliese è luogo emblematico nel quale le due dimensioni dell’ambiente e del lavoro sono state spesso vissute secondo un ingiusto conflitto. A livello regionale Taranto resta, con Foggia e Lecce, tra le aree a più bassa incidenza di occupati in Puglia, con un tasso di disoccupazione ufficiale del 19 per cento. Nell’ultima classifica annuale del Sole24Ore sulle città più vivibili d’Italia, Taranto si trova al 96esimo posto su 107 province (è 103esima per Affari e lavoro). Proprio a causa dell’inquinamento industriale e del numero crescente di malati di tumore e altre patologie la popolazione è crollata dai 244.101 residenti del 1981 ai 190.810 censiti nel 2011. Don Antonio Panico ha ripercorso il caso dell’ex Ilva nel recente volume Rinuncia, ribellione, resilienza. Taranto e la sua emergenza sanitario-ambientale (310 pagg., FrancoAngeli 2020). M.B.
RECALMUTO (AGRIGENTO) LABORATORIO DI AGRICOLTURA
Progettare il domani ripartendo dalla terra
Lo scriveva Leonardo Sciascia: “Una campagna ben coltivata è immagine della ragione”. E, nei terreni della Casa della Pace, a Racalmuto, luogo che ha dato i natali allo scrittore siciliano, diversi giovani stanno cercando una ragione di vita proprio nel segno della terra. Anzi, della “terrosità”, come dice l’arcivescovo di Agrigento, mons. Alessandro Damiano.
Nel laboratorio di agricoltura, realizzato dalla Caritas diocesana con fondi 8xmille, mettono alla prova le loro conoscenze e ne cercano di nuove. Vi partecipano alcuni migranti ospiti di una comunità, originari del Bangladesh. Con loro anche due ragazzi con permesso speciale del magistrato, che hanno conosciuto la dimensione del carcere. E, poi, tra gli altri, tre ragazzi di quelle zone, appassionati di erbe aromatiche e officinali. Il percorso intende offrire, infatti, competenze adatte nel campo della coltivazione e cura di questo genere di erbe: dal processo di crescita alla raccolta, fino alla distillazione. Maria Eugenia Valenti, 31 anni, nata a Montedoro, in provincia di Caltanissetta, è laureata in Scienze applicate ai beni culturali all’Università La Sapienza di Roma, ma da un anno e mezzo non ha lavoro. “Sono una diagnosta per i beni culturali ma purtroppo l’Italia non investe in questo ambito. Siccome la mia più grande passione è il colore, il tintorio, ho scelto di occuparmi delle officinali perché sono la cosa che vi si avvicina di più”, racconta. Da un anno ha iniziato un’attività di estrazione dalle piante officinali, distilla oli essenziali. “Questo laboratorio mi permette di conoscere sempre più questo mondo, che parte dalla coltivazione fino alla raccolta. Volevo un confronto con le altre persone che partecipano al laboratorio e con gli esperti. Il mio obiettivo è creare un laboratorio che si affianchi ad aziende agricole che coltivano questo genere di erbe”.
Il laboratorio è tenuto da un agronomo ed è articolato in 10 lezioni della durata di tre ore ciascuna, con cadenza settimanale. “Abbiamo cercato di creare un gruppo eterogeneo – spiega Gaetano Lauricella, referente dell’ambito mondialità della Caritas di Agrigento –. Da un lato abbiamo voluto intrecciare storie diverse e cercare di creare relazioni, dall’altro abbiamo voluto curare l’aspetto lavorativo. Quindi il trasferimento di competenze che possano tornare utili alla persona, per ripartire, per immaginare un futuro lavorativo o, semplicemente, per coltivare una passione. Però, trattandosi in questo caso di un laboratorio che si svolge in natura, uno degli obiettivi è anche quello di far riscoprire ai partecipanti la bellezza del Creato e che si riscoprano loro stessi come suoi custodi”. Tra i terreni della Casa della Pace, dunque, la speranza per questi giovani è di ripartire dalla terra e dai doni che offre, in particolare in un periodo incerto come quello attuale. Una speranza espressa anche dall’arcivescovo di Agrigento, mons. Alessandro Damiano: “Si può ripartire dalla terra, nel tempo di pandemia che stiamo vivendo – dice –. Questo laboratorio si pone come elemento di speranza. Una sfida che la Chiesa agrigentina, attraverso la Caritas, vuole rilanciare. Si tratta di un laboratorio che ha una valenza di riconciliazione con la nostra terra, con l’agricoltura, con la ‘terrosità’. Infatti, questo progetto può permettere una maggiore attenzione alla terra”. Dal presule parole di incoraggiamento ai partecipanti. “Vogliamo invitare i giovani che partecipano al laboratorio a essere ‘lieti nella speranza’, sapendo che devono essere ‘forti nelle tribolazioni’, perché esse si possono superare attraverso le decisioni che prendono. Con questo progetto puntiamo a includere. E a farlo attraverso l’agricoltura, che nel tempo è stata abbandonata, causando una migrazione notevole. Vogliamo riconnetterci con la natura e con le zolle”.
F.P.