SERVIZIO PER LA PROMOZIONE DEL SOSTEGNO ECONOMICO ALLA CHIESA CATTOLICA
della Conferenza Episcopale Italiana

“Ero un ragazzo dell'oratorio…”

E' cresciuto in parrocchia, a Verano Brianza, in provincia di Monza. La vita lo ha portato davvero lontano. "Ma ricordo quanto mi hanno trasmesso i sacerdoti del mio paese" Primo italiano e quarto europeo ad affrontare una missione di lunga durata nello spazio, Paolo Nespoli per arrivare a questi risultati ha fatto una lunga strada. Cominciata in […]
2 Agosto 2017
E' cresciuto in parrocchia, a Verano Brianza, in provincia di Monza. La vita lo ha portato davvero lontano. "Ma ricordo quanto mi hanno trasmesso i sacerdoti del mio paese"
 
Primo italiano e quarto europeo ad affrontare una missione di lunga durata nello spazio, Paolo Nespoli per arrivare a questi risultati ha fatto una lunga strada. Cominciata in un oratorio della Brianza. Ce ne ha parlato in un’intervista da Houston.
 
Com’è stato vivere 159 giorni a tu per tu con il cosmo per la missioneMagISStra?
 
La missione non è solo di sei mesi, dura 4-5 anni con il periodo di preparazione. C’è l’addestramento per i compiti a bordo: dalle passeggiate spaziali alla gestione della Stazione e degli esperimenti scientifici, ho imparato il russo visto che lo parlavano un comandante e altri membri dell’equipaggio. Tutta una lista di attività impegnative. Poi c’è il lancio: bastano 8minuti e mezzo per arrivare in orbita. E’ come essere spinto da una bomba atomica, che esplode in una certa direzione e ti spara fuori dall’atmosfera.
 
Un’esperienza fortissima. In più si sente la responsabilità dell’Agenzia spaziale e dell’industria intera, che per anni hanno investito in risorse economiche e umane. Poi c’è l’esperienza personale: poter guardare la Terra e lo spazio da lassù è una visione che segna, che ti fa vedere il nostro pianeta come mai prima.
 
I momenti più difficili?
 
L’arrivo in orbita dura pochi minuti, per cui il mondo ti cambia nel giro di pochissimo. Non c’è più l’alto e basso, né il peso, si prova la sensazione di galleggiare, volare leggeri…Mi sono sentito quasi un bambino. Ma certo richiede attenzione. Tutto svolazza via, devi sempre restare concentrato. Magari stai facendo un esperimento, prendi un cacciavite, lo posi da una parte, come ti giri non lo ritrovi più… Devi capirne i limiti e i vantaggi. Ad esempio, se hai un oggetto che pesa 300 chili, sulla Terra non lo puoi spostare, invece nello spazio lo sollevi con un dito.
 
Ma devi ricordartelo, perché specie all’inizio della missione ti sforzi di fare le cose come se fossi sulla Terra. Devi cambiare prospettiva, ricominciare da zero, e ci vuole un po’ di tempo. Poi c’è l’ambiente ristretto e l’interazione con l’equipaggio. Non puoi dire: ragazzi, stasera sono stanco, vado a mangiare una pizza con gli amici…Loro diventano i tuoi amici, non solo i tuoi compagni di viaggio.
 
Com’è la Terra vista da lassù?
 
Questa sarebbe già da sé la ragione per andare nello spazio: vedere la Terra da lassù. E’ bellissima. E’ un globo luminoso, chiaro, spicca il suo blu nell’universo. Intorno il cielo è nero. Splendide sono le stelle, che si vedono benissimo. Mi ha colpito l’atmosfera attorno al nostro globo: è un velo sottilissimo, che ci separa dal resto dell’universo e ci consente di vivere come viviamo adesso. Ma ti fa vedere anche com’è sottile, ed è inevitabile pensare che il nostro sia un pianeta delicato, che dobbiamo preservare con ogni scelta. Poi si guardano i dettagli: dai posti che conosco, l’Italia, l’Europa, gli Stati Uniti, ai tantissimi che non conosco. Attraverso Twitter ho inviato quattro foto al giorno. E tantissimi interagivano con me: sono stati momenti condivisi, speciali.
 
Dopo l’esperienza spaziale, di che cosa ti sembra che gli uomini abbiano veramente bisogno nella loro vita?
 
Sono un ingegnere, per me le cose si rompono, si riaggiustano o si buttano. A parlare di filosofia o teologia mi sento un po’ perso. Ma penso che oggi l’uomo abbia bisogno di modelli positivi, di guardare in se stesso. Mi sento fortunato ad aver realizzato il sogno che avevo da bambino. Non sono né superman, né un genio, ma una persona normale, cresciuta all’oratorio di un paesino di 8mila abitanti. La mia vita non è stata semplice. Alla fine però ho raggiunto quest’aspirazione. Se
la mia storia può aiutare qualcun altro a credere nelle proprie capacità, già mi basta.
 
Pensi soprattutto ai più giovani?
 
Meritano fiducia e speranza. Devono sognare, capire che cosa fare della vita e rimboccarsi le maniche. Per diventare qualunque cosa, anche astronauti, serve un perché personale. Quando mi rispondono “perché voglio essere ricco e famoso”, penso che non diamo modelli giusti ai nostri ragazzi, li lasciamo soli, con ideali spenti. Importante è trovare ciò che ci rende veramente felici e appagati, non fama e soldi.
 
Che cosa hai provato durante la telefonata con Benedetto XVI?
 
È stata un’iniziativa fortemente voluta dame e dall’altro astronauta italiano Roberto Vittori. Il Santo Padre si è dimostrato molto interessato, ha voluto capire ed è entrato nei dettagli della missione. In più, tutti i membri dell’equipaggio, anche ortodossi e luterani, hanno voluto partecipare alla videoconferenza. La figura del Papa rappresenta un collegamento con Qualcuno che sta sopra di noi. Abbiamo parlato con il presidente Napolitano, con il presidente Obama e con le altre autorità del mondo. Ma parlare con il Papa è stato ancora più forte e coinvolgente. In più, ha voluto esprimermi il suo affetto anche per la perdita di mia madre nel corso della missione.
 
Qual è il tuo rapporto con la fede?
 
Sono nato e cresciuto all’oratorio di Verano Brianza. Fino a quasi vent’anni è stato uno dei miei punti di riferimento: nelle amicizie, nei valori, nei sacerdoti che mi hanno seguito. Per me la fede è credere nella presenza di un Essere sopra di noi, e viverla ogni giorno, spendendosi per gli altri.
 
Ci sono dei sacerdoti che per te sono stati punti di riferimento?
 
Sicuramente, ce ne sono almeno due. Uno è stato colui che in oratorio mi ha seguito da quando avevo 6 anni fino ai 12, e l’altro dai 12 ai 18 anni. Sono state per me figure estremamente importanti: mi hanno trasmesso quello in cui credo, mi hanno spronato e seguito. Mentre ero in orbita ho salutato don Davide Cereda, che oggi ha più di 80 anni, e ci siamo fatti una bella
chiacchierata, io dallo spazio e lui dall’oratorio. Poi c’è stato don Giuseppe (Aldeni, parroco dell’epoca a Verano, con don Giuseppe Corti, allora responsabile dell’oratorio). Quelli sono stati anni belli e formativi.
 
Nel futuro prossimo ti aspetta un ritorno nello spazio?
Probabilmente no. Ho fatto la mia esperienza. Ora lasciamo che vadano le nuove generazioni. Dopo 16 anni a Houston, penso che tornerò in Italia.
 
Serena Sartini
 

 
CHI E' PAOLO NESPOLI /
TRE VITE IN UNA
Dall’esercito all’ingegneria, fino ai voli spaziali
Nato a Milano (1957), cresce a Verano Brianza. Parà istruttore, nel 1982-84 è nel contingente italiano
in Libano e lavora con Oriana Fallaci. Torna all’università: laurea e master a New York in ingegneria
aerospaziale. Nel 1991 diventa astronauta dell’Esa (Agenzia spaziale europea). Nel 1996 è al Johnson
Space Center Nasa, a Houston.
 
Nel 2007 primo volo sull’STS-120 Shuttle, con un ruolo chiave nelle uscite spaziali dalla Iss (Stazione
spaziale internazionale). Dal 2008 si addestra in Usa e Russia per la missione di lunga durata del 15 dicembre 2010. Da Baikonour, in Kazakhstan, vola con la Soyuz restando in orbita sulla Iss fino al 23 maggio 2011. (L.D.)
 

IL RICORDO DI DON GIUSEPPE CORTI
«Era lui il proiezionista del cinema parrocchiale»
 
Don Giuseppe Corti, responsabile dell’oratorio di Verano Brianza dal 1969 al 1980, ricorda tutti i suoi ragazzi. E anche Paolo Nespoli. «Già a 11 anni era esuberante. L’ho visto crescere e l’ho seguito anche alle medie come studente. Spiccava la passione per la tecnica. Così era diventato il proiezionista del cinema parrocchiale, dove davamo film di prima visione e cineforum. Era anche tecnico delle luci e microfonista per gli spettacoli teatrali della filodrammatica,  messa in piedi dai ragazzi.
 
Credo che in quegli anni sia maturata la sua esperienza di leader che sa lavorare in gruppo, poi ripetuta nella vita ad alti livelli. Era maturo e generoso, geniale nell’inventare, ma anche un ragazzino critico e libero. Davvero un collaboratore molto bravo».
 
Don Giuseppe, che oggi è parroco a San Michele Arcangelo, a Busto Arsizio (Varese), aveva voluto un oratorio attivo e informale: «Lo stare insieme, i campeggi e le gite si univano alla preghiera di ogni pomeriggio e alla catechesi settimanale» spiega oggi a 72 anni, dopo 47 di sacerdozio. «Gesù a quell’età va conosciuto come un amico, un fratello. Sono anni in cui diamo un’impronta, perché la fede diventi radice di tutta la vita». L.D.
 
 

 
IL PARROCO, DON GIOVANNI RIGAMONTI
La carica dei 500, le nuove leve dell’oratorio di Verano Brianza
 
Verano Brianza, oratorio della parrocchia dei Santi Nazario e Celso. È qui che Paolo Nespoli ha appreso nell’infanzia e nell’adolescenza quegli insegnamenti e quei valori che ancora oggi lo guidano. L’astronauta italiano non si stanca mai di ricordarlo. La fama e gli anni trascorsi lontano dall’Italia non hanno scalfito il legame profondo con la sua terra d’origine.
 
La gratitudine verso i sacerdoti che lo hanno formato (i parroci don Davide Cereda, oggi 80 anni, e don Giuseppe Aldeni, 79, risiedono oggi rispettivamente al duomo di Monza e nella parrocchia di Santa Maria Regina a Busto Arsizio; e il responsabile dell’oratorio, don Giuseppe Corti) e l’affetto per gli amici con i quali è cresciuto sono indubbiamente ancora vivi. «Tutta Verano è orgogliosa di lui» spiega l’attuale parroco, don Giovanni Rigamonti.
 
«Durante i giorni che hanno preceduto l’ultimo lancio, i suoi ex compagni d’oratorio hanno allestito in una piazzetta del paese un pannello luminoso con un “conto alla rovescia” digitale, oltre a un maxischermo attraverso il quale tutti noi abbiamo potuto seguire momento per momento le fasi salienti dell’intera missione».
 
Purtroppo negli anni la recessione non ha risparmiato la cittadina brianzola. «Durante i primi anni Novanta » racconta il sacerdote «due industrie tessili, nelle quali lavoravano circa 1.500 persone e che rappresentavano la principale risorsa economica del paese, hanno chiuso. Molti sono così dovuti migrare verso Milano e da noi non sono rimasti che pochi piccoli artigiani».
 
«La nostra parrocchia» prosegue «continua a rivestire un ruolo fondamentale nel tessuto sociale del paese. Infatti dei 9.400 abitanti ben il 30% frequenta abitualmente le funzioni religiose. Ma anche coloro che a messa non vengono, magari nel corso delle visite alle famiglie, riconoscono l’importanza del nostro lavoro».
 
«L’oratorio» conclude il parroco «è ancora molto frequentato, come ai tempi di Paolo Nespoli, forse anche di più. Durante l’estate arriviamo a ospitare fino a cinquecento ragazzi. Così, dal momento che la vecchia struttura non era più sufficiente, ne è in costruzione una nuova, molto più spaziosa, che a breve sarà inaugurata».
Stefano Nassisi