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della Conferenza Episcopale Italiana

Dossier >> WOJTYLA, i primi anni sacerdotali

A chiusura dell’anno della beatificazione di Giovanni Paolo II, dedichiamo il dossier di Natale ad un itinerario geografico e spirituale nei luoghi della sua vocazione e dei primi anni sacerdotali, quando ancora era lontana l’ascesa al soglio di Pietro. Alla prova della guerra, dei totalitarismi nazista e comunista, del Muro europeo. Wojtyła stesso lo riassunse […]
2 Agosto 2017
A chiusura dell’anno della beatificazione di Giovanni Paolo II, dedichiamo il dossier di Natale ad un itinerario geografico e spirituale nei luoghi della sua vocazione e dei primi anni sacerdotali, quando ancora era lontana l’ascesa al soglio di Pietro. Alla prova della guerra, dei totalitarismi nazista e comunista, del Muro europeo. Wojtyła stesso lo riassunse nel 1996 nelle pagine del suo Dono e mistero. Diario di un sacerdote, autobiografia di un’anima nel 50° della sua ordinazione
 
WADOWICE
NELLA CASA NATALE
 
Battesimo il 20 giugno 1920 nella chiesa di Santa Maria, a Wadowice, per il futuro Papa, con i nomi di Karol Józef. Prima dei 10 anni, il piccolo Lolek –come era chiamato Wojtyla– perse la madre Emilia e il fratello maggiore Edmund. L’autentica religiosità del padre esercitò una profonda influenza su di lui. Anche se tra loro non si parlava di vocazione al sacerdozio, Wojtyła riconobbe nell’esempio paterno “il primo seminario, una sorta di seminario domestico”.
 
CRACOVIA
IL SEMINARIO CLANDESTINO
 
Pane secco e surrogato di caffè: l’arcivescovo di Cracovia Adam Stefan Sapieha li fece servire al governatore nazista Frank quando finalmente accettò di riceverlo nel vescovado di via Franciszkańska 3. “E’ quello che mangia il mio popolo”, spiegò. Sapieha fu la roccia della   resistenza cattolica all’occupazione di Hitler. Nell’autunno 1942 riunì in clandestinità nella sua residenza i 7 giovani che si preparavano al sacerdozio, tra cui Karol Wojtyła.
 
 
CRACOVIA
UN PRETE IN FABBRICA
 
Solo una targa ricorda oggi la fabbrica chimica Solvay dove Wojtyła lavorò come operaio nelle cave di pietra dal 1940 al 1944 per sottrarsi alla deportazione nazista. Sono gli anni in cui matura la decisione definitiva di diventare sacerdote. Gli altri operai cercano di permettergli di studiare.
 
Questo contatto lo segnerà: “So bene quanto sia necessario per ogni essere umano avere un lavoro che non sia causa di alienazione e di frustrazione, un lavoro che riconosca la sua piena dignità”. In questi anni il tragitto quotidiano lo porta vicino al monastero di Łagiewniki, dove suor Faustina Kowalska riceveva rivelazioni sulla Divina Misericordia. Da Papa ne diffonderà il culto.
 
 
AUSCHWITZ E L’ABBRACCIO
CON I FRATELLIMAGGIORI
 
“Fratelli maggiori” sono gli ebrei per Wojtyla, che mutuò la definizione dal poeta polacco Adam Mickiewicz. Da vescovo di una diocesi in cui rientrava Auschwitz, più volte affrontò il mistero del male assoluto, causa di morti a milioni, anche tra amici della sua giovinezza: “Perché non io?”. E ancora: “Il mio sacerdozio, già al suo nascere, si è iscritto nel grande sacrificio di tanti della mia generazione.
 
A me la Provvidenza ha risparmiato le esperienze più pesanti; tanto più grande è perciò il senso del mio debito”. Da Auschwitz parte il cammino che porta alla visita alla sinagoga di Roma –la prima di un Papa in 19 secoli di storia– e all’incontro interreligioso di Assisi 1986.
 
 
CRACOVIA NELLA CRIPTA
DELWAWEL LA PRIMA MESSA
 
La collina del Wawel, chiesa della nazione. Qui il 2 novembre 1946, il giorno dopo  l’ordinazione,Wojtyła celebrò la prima Messa, in unione con i “grandi spiriti che conducono la Polonia attraverso i secoli”. Un luogo cardine anche della fede cristiana, rimasta salda anche nei tempi bui del nazismo e del comunismo ateo. “La vocazione sacerdotale è un mistero –scrisse- E’ il mistero di un «meraviglioso scambio» tra Dio e l'uomo.
 
Questi dona a Cristo la sua umanità, perché Egli se ne serva come strumento di salvezza, quasi facendo di quest'uomo un altro se stesso. Altrimenti non si può capire come un giovane, ascoltando la parola «Seguimi!», giunga a rinunciare a tutto per Cristo, nella certezza che così la sua personalità umana si realizzerà  pienamente”.
 
NIEGOWIĆ LA PRIMA PARROCCHIA
 
Aria buona di campagna: è quella che serviva al giovane Wojtyła dopo i due anni intensi di studio a Roma per il dottorato (1948). Per questo Sapieha lo inviò alla parrocchia dell’Assunzione di Nostra Signora a Niegowić, dove avrebbe insegnato religione nelle scuole elementari rurali.
 
Il nuovo  vicario arrivò camminando tra campi di grano pronti per la mietitura. E quando giunse si   inginocchiò a baciare il suolo: lo aveva imparato da San Giovanni Maria Vianney, il curato d’Ars. Da lui aveva attinto anche la convinzione che “il sacerdote realizza una parte essenziale della sua missione attraverso il confessionale”.
 
 
CRACOVIA
UNA PASTORALE PER I GIOVANI
 
A S. Floriano, nel centro di Cracovia, al parroco Wojtyła fu affidata la pastorale universitaria. Ogni giovedì teneva ai giovani conferenze sull’esistenza di Dio e la spiritualità dell’anima umana. Si trattava di dimostrare che il Vangelo poteva rispondere alle domande dell’uomo in modo più convincente dell’ideologia totalitaria. In via Kanonicza,Wojtyła abitò dal 1951 al 1967, prima come professore di etica sociale, quindi da vescovo (a 38 anni) e cardinale (a 47).
 
Oggi vi ha sede il museo diocesano a lui dedicato. Custodisce il suo diploma di maturità e le tonache, sempre abbastanza lise com’era nel suo costume di sobrietà assoluta. Poi gli sci di legno e la canoa che –spiegano– si può ripiegare e portare con uno zainetto. Con i giovani di S. Floriano Wojtyła organizzava escursioni estive in montagna, appuntamenti annuali che durarono fino alla sua elezione a pontefice: una “strategia pastorale” che esaltava il valore dell’accompagnamento spirituale e l’amore per la natura.
 
CRACOVIA LA SFIDA
NELLE ACCIAIERIE DI NOWA HUTA
 
La notte del 25 dicembre 1973, l’arcivescovo Wojtyła, per ottenere la costruzione di una chiesa nella città operaia modello di Nowa Huta che ne era priva, diede appuntamento ai fedeli in un  campo all’aperto. In migliaia scesero dagli enormi condomini tutti uguali, anche se c’erano -30°C. Disse Wojtyla, “questa non è una città di persone che non sono di nessuno, ma una città di figli di Dio”.
 
Nel 1977 la chiesa fu inaugurata. “Se si analizzano le attese che l'uomo contemporaneo ha nei confronti del sacerdote –scrisse da Papa- si vedrà che, nel fondo, c'è in lui una sola, grande attesa: egli ha sete di Cristo. Il resto—ciò che serve sul piano economico, sociale, politico—lo può chiedere a tanti altri. Al sacerdote chiede Cristo! E da lui ha diritto di attenderselo innanzitutto mediante l'annuncio della Parola”.
 
CZĘSTOCHOWA
L’AFFIDAMENTO A MARIA
 
Nel santuario di Jasna Góra, a Częstochowa, sopra l’immagine della Madonna nera, spicca in una
teca la stola macchiata di sangue che Giovanni Paolo II indossava al momento dell’attentato del 1981 in piazza S. Pietro. E’ qui in ringraziamento per la “mano miracolosa” che deviò il proiettile: “una mano ha sparato, un’altra ha guidato la pallottola” dirà Wojtyla. A Maria che conduce a Cristo andava la totale dedizione di Wojtyła sacerdote. “Totus tuus”, il suo affidamento alla Madre di Dio.
 
 

 
PARLA PADRE SUDER, CON LUI AL SEMINARIO CLANDESTINO
«Sapeva pregare intensamente»
 
Camicia bianca, pantaloni di tessuto spesso, ai piedi zoccoli di legno: si presentò così Karol Wojtyła alla residenza dei vescovi di Cracovia nell’agosto 1944. Lo ricorda mons. Kazimierz Suder, l’ultimo sopravvissuto del gruppo del Teologico clandestino, organizzato in piena occupazione nazista dall’arcivescovo di Cracovia, Sapieha.
 
I giovani aspiranti preti studiavano a casa propria. “Nessuno di noi conosceva gli altri” spiega
Suder. Sapieha li fece entrare in clandestinità dopo che i nazisti avevano arrestato 5 allievi trovati
nel seminario, chiuso per loro ordine: ne avevano fucilati alcuni, deportandone altri ad Auschwitz.
Inoltre, per prevenire un’insurrezione a Cracovia, in città rastrellavano i giovani. L’arcivescovo nascose i 7 seminaristi nella propria residenza fino al 1945.
 
In quei mesi, “conobbi Karol Wojtyła –racconta Suder- Seppi che quando nel ’41 anche il padre era morto, come tutti i suoi, aveva visto nel sacerdozio lo scopo della sua vita. Era modesto nel parlare, preferiva ascoltare, dava il suo parere sulle questioni ma non lo imponeva, cercava di capire l’altro, non mentiva mai. Soprattutto – ricorda Suder – aveva il dono di saper pregare”.
 
Quasi sempre in ginocchio, con il rosario nella mano, al collo lo scapolare carmelitano. Padre Suder negli anni ha esercitato il suo ministero in molte parrocchie. “Ma non sono mai riuscito ad arrivare –confessa con umiltà- alla sua concentrazione nella preghiera. Era il marchio della sua santità”.