di GILBERTO TITO e ANNALISA VANDELLI foto ANNALISA VANDELLI
“È arrivato!”. È atteso ovunque con affetto il parroco ad Anduins, Vito d’Asio, Clauzetto e negli altri paesi della Val d’Arzino e della Val Cosa, nel Pordenonese. A don Italico José Gerometta sono affidate 9 comunità alle porte della Carnia. Ogni giorno della settimana celebra in una chiesa diversa. Fino a pochi anni fa c’erano 9 sacerdoti, ma ora la S.Messa non è più un evento scontato. “Mi sento benvoluto. E sono grato anch’io al popolo di Dio che il vescovo mi ha affidato, oltre che ai tanti fedeli che in Italia oggi aiutano i sacerdoti”.La missione di don Italico è su chilometri di strade, per valli boscose e fragili, tra comunità provate dallo spopolamento e con un futuro da difendere. Così sarà anche in questo Natale. Percorsi tra la neve, tra poche luci accese, scintillanti di fede. Classe 1961, nato in Venezuela da emigranti friulani, poi seminarista a Pordenone, prete da 30 anni, di cui 8 vissuti in Spagna. “Le nostre montagne sono troppo spesso dimenticate – dice – ma il patrimonio di storia, paesaggio e la qualità della vita che offrono hanno pochi paragoni e meritano di essere valorizzati”.
Lui l’ha fatto, con tenacia e fiducia in Dio, in sintonia con la sua gente. “Le mie giornate, ringraziando Dio, sono originali, sempre diverse, aperte alle novità: per la vastità del territorio gli impegni sono tanti”. Perché a soli 45 minuti d’auto da Udine, qui la terra cambia. Alture impervie e torrenti incontaminati sono di per sé un viaggio nel tempo: “La Val d’Arzino è una poesia del mondo, un canto raccolto nel grembo del Friuli, un’immagine delle origini” scriveva il poeta ‘furlan’ e sacerdote, don Meni Zannier. Ma servono risorse e progetti. Su paesi di 3 mila abitanti sono passati nel ‘900 guerre (le battaglie di Pradis e Pielungo nella ritirata di Caporetto danno la misura di come le valli furono sconvolte), emigrazione e poi l’Orcolat, ‘l’orco risvegliato’ dal sisma del ’76. Ora sono ridotti a cento unità. Sono rimaste come vedette le chiese. Ma le giovani famiglie sono poche e l’alta percentuale di popolazione anziana potrebbe restare l’ultima custode di un mondo. “Spesso quando celebro un funerale, finisce non solo una vicenda umana. Si chiude per sempre una casa, muore il cognome, una storia. È una cosa epocale – scandisce don Italo – Tra dieci anni, non tra cento, che cosa accadrà? Che cosa delle nostre solide e nuove case antisismiche? E delle nostre chiese salvate? Chi aiuterà questi paesi a non essere sepolti e invasi dal bosco? Già ora è tardi. Le famiglie straniere sono rare, anche perché qui servizi indispensabili, come cellulare o wifi, non funzionano dappertutto. Ma soprattutto la nostra storia, lingua e cultura devono vivere”. Nuove famiglie dai capoluoghi e dalla Bassa friulana hanno riscoperto questi monti per le seconde case: “arrivano qui in cerca di un’oasi da una vita frenetica, dal caldo sempre più torrido e innaturale dell’estate. Ma ci vorrebbero sostegni all’occupazione e alle famiglie, in risposta alla denatalità”. Le chiese sono il ‘fogolar’ dove ritrovarsi. Si va dal parroco, spiegano nei paesi, non solo per l’anima: “Nelle situazioni difficili le persone con grande spontaneità vanno in parrocchia. I servizi sociali fanno un lavoro straordinario, ma a volte sono vincolati, e allora per un’emergenza c’è il parroco, disponibile 24 ore su 24”. La sua vita è missionaria. “Ma tutta la Chiesa lo è” risponde don Italico. “I sacerdoti e il Vangelo che annunciano sono ovunque mani tese alle creature. I social media sono un antidoto vano alla solitudine”. Per i più anziani è dura: “passano ore e giorni da soli, specie d’inverno”. Lui non manca di visitarli, anche quelli della casa di riposo parrocchiale. Ma in paesi che hanno dato i natali ad inventori dalle mille risorse (‘padri’ dei primi elicotteri o di nuove tecniche per costruire trafori ferroviari), anche don Gerometta e le sue comunità hanno reagito con inventiva. E se al catechismo i bambini sono pochi, hanno dato vita ad associazioni musicali, come Santa Margherita ad Anduins, con un’orchestra d’archi giovanile, aperta a masterclass che ospitano studenti (e famiglie) da fuori. Inoltre l’anno scorso si sono impegnati per far tornare questi altari di montagna al centro della vita diocesana, con l’apertura della Porta santa giubilare nella chiesa di San Giacomo, a Clauzetto, per secoli meta di pellegrini, anche austriaci e sloveni da oltreconfine, in preghiera davanti alla reliquia del Preziosissimo Sangue, proveniente da Costantinopoli. Don Gerometta, con il consenso del vescovo, ha valorizzato e purificato questa devozione popolare, e oggi celebra il ‘perdon grand’ (indulgenza) la domenica dell’Ascensione e ‘perdon picciul’ la prima di luglio, oltre all’esposizione pubblica della reliquia la prima domenica del mese e il Venerdì santo. Nella chiesa dove non c’era più stata in 40 anni una Messa infrasettimanale dal giorno del terremoto, sono arrivati in tanti a vivere conversione e perdono, con un afflusso di fedeli che ha creato grande commozione nella comunità. “Con l’aiuto di tutti, unendo le forze per far sentire la nostra voce, nessuna sfida è impossibile” dice don Italico. E di recente sempre più guide internazionali segnalano le grotte di Pradis per il canyoning e le spiagge selvagge su fiumi cristallini, come Cerdevol Curnila, ‘ tra le più belle del mondo’ per Financial Times. Di certo l’identità friulana è anche un suono, una lingua madre: “Nelle mie parrocchie ci sono pronunce inesistenti altrove. Ormai parliamo in italiano con i bambini e in friulano tra di noi: ma mi piacerebbe che fin dall’infanzia le nuove generazioni fossero poliglotte, come accadeva a me con italiano, friulano e spagnolo. Soffro al pensiero che questo idioma elegante sparisca dalla storia dell’umanità. La diversità delle lingue è una ricchezza, non dovrebbero andare perdute”. La Bibbia e la Messa in friulano sono nate da quest’esigenza di vita: “Abbiamo una tradizione di letture pubbliche e qualche anno fa all’oratorio della Purità, ad Udine, è stata proclamata l’intera Scrittura, dalla Genesi all’Apocalisse, con migliaia di lettori 24 ore su 24. Da allora leggiamo un libro l’anno della Bibbia in friulano. Alcuni lettori della Val d’Arzino sono così straordinari che lo traducono nel friulano locale”. Don Italico indica una per una le tante chiese non parrocchiali dove va una volta al mese per la Messa feriale o il rosario, perché restino aperte e vissute: “la Messa è il momento in cui ritroviamo noi stessi, con forza e motivazione per lavorare” conferma don Gerometta. Pronunciati da lui in friulano i nomi dei paesi diventano una geografia dell’anima: Anduins (che nel nome raccoglie il nome di un re longobardo), Cjasât (Casiacco) che richiama le antiche case, Pielùnc (Pielungo), San Francesc (San Francesco) detti anche Cjanal, Vît (Vito d’Asio) il capoluogo, Clauziêt, Pradis (con i vasti prati), Pinciàn (Pinzano), Manaccions (Manazzons). E anche chi friulano non è, ora ha più a cuore la loro storia.