SERVIZIO PER LA PROMOZIONE DEL SOSTEGNO ECONOMICO ALLA CHIESA CATTOLICA
della Conferenza Episcopale Italiana

Domestiche senza diritti, l’aiuto della Chiesa

“Non hanno alcuna protezione. La loro età va dai 9 ai 45 anni. Sono esposte a mensilità non pagate, sfruttamento, percosse, abusi, al sequestro dei documenti. A centinaia semplicemente spariscono, se ne perde traccia”. Ecco come le nostre firme soccorrono le donne più ‘invisibili’
29 Luglio 2020

di ELISA PONTANI foto FRANCESCO ZIZOLA /AGENZIA ROMANO SICILIANI/CARITAS INTERNATIONALIS

 

Merawi, in Etiopia occidentale, Amarich è una formatrice impegnata nel  progetto della ong italiana Cvm (Comunità volontari per il mondo), sostenuta da fondi 8xmille: insegna accesso al microcredito a ex domestiche, spesso con i figli. Emigrate giovanissime verso la capitale Addis Abeba o all’estero, al rientro si ritrovano marchiate dal pregiudizio sociale che le isola, anche economicamente. “Ho 20 anni, vengo da una famiglia povera – racconta Liya, una di loro – Volevano farmi sposare da bambina, così sono scappata”. “Quando i miei genitori sono morti, ho lasciato la scuola per fare la domestica. Lavoravo anche di notte per imparare il lavoro” spiega Marjani. “Sono ragazze vulnerabili, non sempre istruite – indica Amarich – Emigrano anche se è rischioso. Oltre le mura delle case dove vengono assunte, dal Libano all’Egitto, dal Sudafrica alla Turchia ai Paesi arabi, diventano invisibili. Spesso subiscono stupri. Tra loro dilagano i suicidi”. Il reclutamento corre sui social network. Ma il lucroso trafficking delle giovani dalle zone rurali dell’Etiopia, pur denunciato da decenni nei report internazionali, prosegue senza conseguenze giudiziarie. Se le famiglie si indebitano per farle emigrare, poi dedicano anni a risparmiare per farle tornare indietro. ‘Condividi e vinci una domestica etiope’:  in Bahrein il governo ha stigmatizzato annunci di agenzie per l’impiego come questo nel 2019, ma la realtà delle colf senza protezione e della mentalità predatoria nei loro confronti non è cambiata. In Libano, nelle località balneari e nelle piscine è frequente il divieto alle domestiche di nuotare e diversi asili non ammettono i loro figli.

 

Quelle emigrate nel Paese dei Cedri sono circa 250mila. Il sistema di sponsorship (kafala) le lega direttamente alle famiglie, e così le esclude dalle tutele statali del diritto del lavoro. Con la pesante crisi economica causata dal Covid la loro condizione è precipitata: vengono licenziate, molte dormono in strada. Caritas Libano assicura loro un riparo, talora i rimpatri. Con un progetto sostenuto dalle firme dei fedeli italiani (24 mila euro), ha avviato corsi di formazione professionale, aiutandole a cambiare lavoro. A chi rientra in patria, onlus come quella di Amarich insegnano ad avviare attività in proprio con il microcredito: dalla tessitura all’allevamento, alla vendita di prodotti caseari, mantenendo se stesse e le famiglie”. “Diamo sempre volentieri il nostro aiuto alla promozione delle donne attraverso istruzione e microcredito – spiega don Leonardo Di Mauro, direttore del Servizio Cei per gli interventi caritativi a favore del Terzo mondo – Le Chiese locali con il nostro supporto spesso fanno la differenza: perché anche piccoli progetti hanno un impatto importante sulle persone e sul loro cambiamento di vita”. “Fino ad oggi non avevamo mai avuto informazioni sui nostri diritti – dice Marjani – Siamo esseri umani”.