SERVIZIO PER LA PROMOZIONE DEL SOSTEGNO ECONOMICO ALLA CHIESA CATTOLICA
della Conferenza Episcopale Italiana

Con le firme la Chiesa coltiva la pace

Dagli orti per il consumo locale alla formazione agraria delle nuove generazioni. Ecco come, con il nostro aiuto, i raccolti contribuiscono a fermare guerre e desertificazione.
2 Settembre 2017
 di ELISA PONTIANI foto FRANCESCO ZIZOLA / CREATIVE COMMONS

L'agricoltura sostenibile può fermare la desertificazione, l’insicurezza alimentare e le migrazioni ambientali. Oggi quasi metà della popolazione povera del mondo vive in terre aride, ha calcolato l’Ifad, il Fondo Onu per lo sviluppo agricolo, e il cambiamento climatico segnato da siccità e inondazioni farà crescere queste cifre. Pratiche non intensive, mirate a non degradare i suoli privandoli d’acqua, come l’irrigazione goccia a goccia, e una gestione nuova del patrimonio forestale dimostrano però che le aree aride non sono ‘terre di scarto’. Possono diventare fonti sostenibili di cibo. In gioco c’è la riduzione della povertà. Mentre andiamo in stampa, non piove esattamente da tre anni in Africa orientale, con 16 milioni di persone in assistenza umanitaria (+30% dal 2016), tra fame, piante riarse e bestiame perduto.

Il cambiamento climatico è la nuova variabile della sicurezza globale: crea instabilità politica e rifugiati climatici (già oggi 21,5 milioni l’anno), guerre per il cibo e l’acqua. Il conto alla rovescia si ferma solo con una produzione alimentare che non devasti l’ambiente, ‘ad alta densità di conoscenza e di risorse’, ha scandito l’Accordo sul clima di Parigi. Basti pensare che il rendimento delle coltivazioni di grano dipende per il 40% dal cambiamento climatico. Per questo ‘nel mondo la fame è tornata ad aumentare - ha denunciato la Fao a giugno - invertendo anni di progressi, a causa di guerre e rapine di risorse naturali: tocca di nuovo 800 milioni di persone. Per questo la Chiesa italiana destina ogni anno risorse che nel Terzo mondo formano a nuove tecniche agricole in tutti i continenti: dal Guatemala (154 mila euro in diocesi di Verapaz) all’India (19 mila euro nella diocesi di Kurnool). Spesso i corsi di sviluppo rurale prevedono alfabetizzazione, accesso al microcredito, promozione delle donne.

I fondi liberati dalle nostre firme hanno sostenuto non solo la produzione ma la commercializzazione di riso (28 mila euro in diocesi di Chiang Mai, in Thailandia), anacardi (5.900 in Costa d’Avorio) o cotone (18 mila euro alla missione comboniana in Eritrea). Non mancano risorse per acquistare macchinari (arcidiocesi di Cape Coast in Ghana, 4.600 euro) o lo scavo di pozzi (vedi Sovvenire giugno 2015). E crescono le azioni di rivitalizzazione dell’agricoltura su base organica (diocesi di Irinjalakuda, India) oltre alle fattorie. Addirittura, rivitalizzando terre incolte, oggi assicurano l’autosostentamento a case d’accoglienza, come in Myanmar all’orfanotrofio delle suore Serve di Maria.