Intervista a DON STEFANO TAROCCHI a cura di TERESA CHIARI
foto AGENZIA ROMANO SICILIANI / CREATIVE COMMONS
Don Tarocchi, chi è il Risorto? E in che modo nei Vangeli il Signore introduce gli apostoli e tutti noi a questo mistero?
Cristo è colui che è vivo. E si fa riconoscere nel modo in cui Lui vuole, abbassa la sua divinità al livello di noi creature e si fa presente, chiamandoci per nome. “Non trattenermi” dice a Maria di Magdala, perché Lui appartiene ad una piena dimensione di vita, oltre il tempo. Gli incontri con figure angeliche – riferiti in tutti i Vangeli – ci introducono ad un sepolcro vuoto dove non c’è più la morte. È luogo della vita. Entratovi, l’evangelista Giovanni rende il disvelamento progressivo di quello spazio: “vide e credette”, dove ‘vide’ è un verbo di contemplazione, è l’attenzione di chi non comprende fino in fondo. La scoperta delle fasce a terra e del sudario non scomposto fanno emergere ai suoi e ai nostri occhi un ordine che non ti aspetteresti nel caso di un corpo trafugato. Fondamentalmente siamo sempre impreparati alla resurrezione di Cristo, evento unico che ci impone perenne contemplazione e riflessione.
A Emmaus, spicca la grandezza della relazione del Signore con i discepoli, che hanno rinunciato ad ogni speranza proprio mentre Gesù li accompagna: si lascia infatti riconoscere non dal suo aspetto ma, con discrezione, dal gesto intimo dello spezzare il pane, che richiama loro la familiarità di tre anni con il Dio fatto uomo. La sua resurrezione ci mostra chi era il Crocifisso. Solo Lui può aprire la nostra mente: Dio nessuno l’ha visto, solo il Figlio ce lo fa conoscere.
«Aprì loro la mente per comprendere le Scritture» (Lc 24,45). È uno degli ultimi gesti di Cristo risorto tra i discepoli. Questo versetto dà il titolo alla Lettera apostolica Aperuit illis, con cui lo scorso settembre Papa Francesco ha istituito la ‘Domenica della Parola di Dio’, ogni terza del tempo ordinario, celebrata dunque per la prima volta lo scorso 26 gennaio 2020. In che modo la relazione col Risorto illumina la nostra identità di credenti?
Ai discepoli impauriti e delusi Gesù rivela il senso del mistero pasquale: che cioè, secondo il progetto eterno del Padre, doveva patire e risuscitare dai morti per offrire la conversione e il perdono dei peccati; e promette lo Spirito Santo che li renderà testimoni (e quanto eroici) della salvezza. Papa Francesco con l’ Aperuit illis ha ripreso il percorso della Dei Verbum di Paolo VI e della Verbum Domini di Benedetto XVI. Infatti il latino in cui per secoli è stata letta la Bibbia non era lingua parlata dal popolo di Dio. Fu il Concilio Vaticano II a raccomandare di tradurla nelle lingue nazionali, perché i fedeli avessero largo accesso alla Parola, a Cristo, che è la Parola definitiva data agli uomini. Oggi ce lo impone la nuova evangelizzazione, perché i fedeli conoscono poco Antico e Nuovo Testamento, ed è urgente la sfida di rammentarli daccapo. Il Papa ci richiama al dovere fondamentale di seminare e vivere la gioia del Vangelo, che è poi quella eucaristica: “ecco, sto alla porta e busso – leggiamo nel libro dell’Apocalisse (Ap 3, 20) – Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me”.
Cristo risorto è esegeta, che ‘cominciando da Mosè e i profeti’ spiega l’ispirazione divina che abbraccia le Scritture. In questo modo rivela più profondamente se stesso?
Nella Lettera agli Ebrei Gesù è definito ‘capo che guida alla salvezza’ (Eb 2,10) e ‘sommo sacerdote in una tenda non costruita da mano d’uomo, che col proprio sangue ci ha ottenuto redenzione eterna’(Eb 9,11-12). Il termine in greco è archegòs (colui che apre la strada), simile al latino auctor (‘autore della vita’), come testimonierà Pietro davanti al popolo (At 3, 15): “avete ucciso l’autore della vita, ma Dio l’ha risuscitato dai morti: noi ne siamo testimoni”. Cristo è ‘l’autore della vita che ha aperto la strada della vita e della fede’.
A questo viene aggiunta la dimensione di ‘mesìtes’ (mediatore): “doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede, per espiare i peccati del popolo” (Eb 2,17). È mediatore di un’alleanza nuova, con una potenza a cui nessun Mosé poteva attingere: vengono paragonate infatti la terrificante teofania – manifestazione divina – dell’Esodo (davanti a «oscurità, tenebra e tempesta», Mosé diceva: «ho paura e tremo») e «l’adunanza festosa dei primogeniti i cui nomi sono scritti nei cieli». Gesù si fa vicino a noi, si fa peccato per noi, si lascia trattare come il più disprezzato. Offre la sua volontà al Padre: nell’alleanza che gli uomini continuamente disfano, la mediazione divina è per sempre. Cristo è perenne intercessore dal cuore misericordioso.
PER APPROFONDIRE
Segnaliamo sui temi di queste pagine anche i volumi di padre Gerald O’Collins, Gesù risorto (Queriniana 2000) e Gesù. Un ritratto (Queriniana 2010). “San Paolo dice “se Cristo non è risorto (non solo non è stato crocifisso, ma non è risorto) vana è la nostra fede” (1Cor 15,17) – spiega l’autore, emerito di Teologia fondamentale all’università Gregoriana di Roma – Tutte le verità cristiane discendono da questa verità della resurrezione del Gesù crocifisso. I discepoli sapevano di essere battezzati nella sua morte e resurrezione (Rom 6, 3 ss); l’Eucaristia celebrava la morte del Signore risorto nell’attesa della sua venuta finale (1Cor 11, 23-26). L’Eucaristia è l’esempio supremo di come la resurrezione ha già cambiato il mondo creato. Essa innalza la materia ad un nuovo livello, la ‘spiritualizza’ e la ‘cristifica’ nel momento in cui il pane e il vino vengono trasformati nel corpo glorificato e nella ‘sostanza’ del Cristo risorto. Ciò che accade indica allora la condizione finale dell’universo materiale, quando sarà materialmente e visibilmente sottomesso alla potenza del Signore risorto”.