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Intervista a Paul Bhatti, fratello del ministro per le Minoranze di Islamabad, ucciso a marzo 2010 dai fondamentalisti. I cristiani del Paese sono nella prova. Ma li raggiunge l’aiuto dei fedeli italiani Spira sempre più vigoroso il vento fondamentalista in Pakistan. Fino a mietere vittime di primo   piano, come il ministro per le Minoranze, Shahbaz Bhatti, […]
2 Agosto 2017

Intervista a Paul Bhatti, fratello del ministro per le Minoranze di Islamabad, ucciso a marzo 2010 dai fondamentalisti. I cristiani del Paese sono nella prova. Ma li raggiunge l’aiuto dei fedeli italiani
 
Spira sempre più vigoroso il vento fondamentalista in Pakistan. Fino a mietere vittime di primo   piano, come il ministro per le Minoranze, Shahbaz Bhatti, cattolico, assassinato da un commando integralista lo scorso 2 marzo. Eppure suo fratello Paul, medico al lavoro da anni in Italia, in provincia di Treviso, che subito ha raccolto il testimone di Shahbaz, in veste di nuovo consigliere speciale del primo ministro del Pakistan per le questioni delle minoranze religiose, non chiude la porta al futuro. E oggi, sulla scia della luminosa testimonianza del fratello, in un Paese colpito negli ultimi tre anni da 420 attentati di matrice integralista, con 4.000 vittime, oltre a 1.000 causate nel 2010 dai bombardamenti della coalizione nelle zone tribali al confine con l’Afghanistan, lavora perché i cristiani e i sacerdoti – nonostante il ritorno di tensione all’indomani della morte di Osama Bin Laden – possano vivervi senza paura, da cittadini.
 
Durante una sua tappa a Roma, dove ha consegnato solennemente la Bibbia di Shahbaz alla chiesa di San Bartolomeo all'Isola, tra le spoglie dei martiri del XX secolo, Sovvenire lo ha incontrato.
 
Quali sono gli ultimi ricordi che ha di lui?
Shahbaz mi parlava della sua lotta contro il terrorismo. In cima alla sua agenda, nelle settimane precedenti l’agguato, c’era la sorte di Asia Bibi, la donna cristiana condannata a morte per blasfemia.
 
All’indomani della sua morte annunciata, quale le sembra ora la sua più importante eredità?
Il suo messaggio era molto semplice: amare il Pakistan come pakistani, senza discriminazioni di etnia e credo religioso, e poter lavorare da cittadini per il bene del Paese.
 
Qual è la condizione di sacerdoti e fedeli cattolici in Pakistan?
Fino a 10-15 anni fa i preti cattolici non incontravano grandi difficoltà. C'erano molte chiese, scuole e ospedali cristiani. Ma con l’ondata di terrorismo degli ultimi anni proprio i sacerdoti sono nel mirino. Colpirne uno significa disperdere la comunità. Abbiamo dovuto assistere a diversi episodi di attacchi alle chiese e agli ospedali cristiani, alcuni sono stati bruciati. E l’azione dei nostri preti è fortemente limitata.
 
Qual è il contributo dei cristiani nella società pakistana?
È quello delle opere della fede. E, fra il clero, il coraggio e la speranza di non abbandonare i fedeli, favorendo il dialogo interreligioso. Mio fratello aveva creato una piattaforma comune in cui tutti i religiosi potevano parlarsi, assicurando lo sviluppo pacifico dell’intera e multiforme società pakistana.
 
La situazione è peggiorata con l’introduzione nel 1986 della pena di morte per blasfemia, resa attuale da sentenze come quella nei confronti di Asia Bibi?
Più ancora che per la legge, la situazione è precipitata con l’ondata di terrorismo integralista, nata dopo l'invasione sovietica in Afghanistan, che poi man mano si è diffusa in tutta l'area.
 
Come vede il futuro del suo Paese e dei cattolici in Pakistan?
Come mio fratello, penso che prima o poi il male verrà meno. E coltivo sempre fortemente la speranza.
 
CON LE NOSTRE FIRME
Un ponte di solidarietà anche grazie all’8xmille
 
La difficile attualità “avvicina” i cristiani pakistani allo sguardo dell’Occidente. Ma l’8xmille è attivo da tempo nel secondo Paese musulmano del mondo dopo l’Indonesia, con l’1% di cattolici (1.2 milioni). “La piccola minoranza è apprezzata per il suo impegno nell’istruzione, l’aiuto ai poveri e i soccorsi nelle calamità» spiega l’agenzia di stampa AsiaNews. Tra questi, l’aiuto post-sisma nel 2005 e per le alluvioni nel 2007 e 2010: la Cei contribuì con oltre 1milione di euro.Dal 1992 l’8xmille ha finanziato in Pakistan oltre 95 progetti, per oltre 4.5 milioni di euro: formazione dei medici, corsi di informatica, ospedali, scuole e promozione delle donne. Tuttavia la libertà religiosa non è garantita. La legge sulla blasfemia, cioè la generica accusa di diffamazione di Maometto (senza onere della prova) è strumento di repressione religiosa. Ed è bastata tra 1986 e 2010 ad incriminare un migliaio di persone (per metà musulmani, 120 cristiani). Di fatto è pretesto per vendette private e confisca di beni.
 
Ha scatenato anche incendi, pogrom con 50 vittime e abusi sulle donne. Minoranze ma anche intellettuali e alcuni leader islamici ne chiedono l’abolizione per un Pakistan stabile e multiconfessionale. La vittima più nota della blasphemy law è Asia Bibi, contadina 45enne, madre di 5 figli, cristiana, in attesa di condanna a morte. Anche il Papa ha chiesto pubblicamente la sua liberazione. (Laura Delsere)
 

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