Sull'ultimo numero del periodico Sovvenire, nello spazio "Noi e i sacerdoti", le pagine sono state dedicate a sacerdoti fratelli. A cura di Daniela De Vecchis / Stefano Nassisi / Daniela Scherrer
Foto Agenzia Romano Siciliani (Bergamo e Tricarico) / Alessandro Feltre (Bra - Cuneo)
DON ATTILIO E DON GIOVANNI SARZILLA VALGOLGIO (BERGAMO)
Gemelli fin nelle pieghe più nascoste dell’anima. Don Attilio e Don Giovanni Sarzilla, 91 anni compiuti lo scorso 12 ottobre, hanno celebrato il 65° di sacerdozio il 30 maggio di quest’anno, a Valgoglio (Bergamo). Tutto hanno condiviso nella vita: la passione per pittura e le alte cime, fino alla scelta vocazionale, arrivata nello stesso momento.
“Siamo entrati in seminario durante le scuole medie –ricorda don Attilio– Prima Giovanni nel 1943 e un anno dopo anch’io, a 12 anni. Non perché non fossi già convinto, ma perché questa vocazione parallela suscitava perplessità nei nostri genitori, e sembrava incredibile allo stesso nostro confessore. Quando poi i fatti ci hanno dato ragione, ne sono stati tutti contenti. Nessuno ci ha costretti, abbiamo semplicemente risposto alla chiamata del Signore, la stessa per entrambi, Lui sa perché, affascinati anche dall’esempio dei preti della parrocchia dell’Immacolata, a Bergamo”.
Il 30 maggio del 1953 vengono entrambi ordinati sacerdoti ed ecco la prima separazione. Questa sì, imposta: don Attilio viene mandato a Barzana e don Giovanni a Lallio, poi come curati anche in altre parrocchie in Valle Seriana. “Non eravamo poi così distanti – continua don Giovanni – e niente poteva impedirci di raggiungerci con la bici o con l’auto”.
Almeno tre generazioni di fedeli li ricordano anche come pittori e scalatori. “Abbiamo frequentato la scuola dell’artista Pietro Servalli e dipinto centinaia di tele per le chiese”. Poi le ascensioni sulle vette, anche le più impegnative: il Monte Bianco, il Monte Rosa. “Ne abbiamo fatte tante di arrampicate con la corda e abbiamo conquistato tante cime, anche con l’abito. Abbiamo fatto preoccupare i nostri parrocchiani”. Quello che vale per l’uno, vale anche per l’altro. “Ringraziamo Dio per la nostra lunga vita, uniti nella fede. Insieme abbiamo visitato tanta gente, confessato, benedetto e amministrato la santa Comunione. Soprattutto abbiamo insegnato la Parola e la consolazione di Dio. E’ stato solo grazie alla Provvidenza.
Ora chiediamo a Dio di aiutarci, quando ci chiamerà ancora e per l’ultima volta a Lui, ad affrontare anche quel nostro ultimo passo verso l’alto”. Intanto nella casa di Valgoglio li circonda l’affetto dei tanti che grazie a loro hanno radicato la fede sulla roccia. E quello di chi dona l’Offerta per i sacerdoti, che oggi raggiunge oltre a loro altre 3 mila preti ormai anziani o malati, con gratitudine dopo una vita spesa per il Vangelo. D.D.V.
DON CLAUDIO E DON GIUSEPPE MOLFESE TRICARICO (MATERA)
Fratelli sacerdoti, classe 1975, il primo, don Giuseppe – responsabile della Caritas diocesana e parroco di S. Antonio di Padova, a Tricarico- è dinamico e concreto, dedito ad alleviare povertà e solitudini. Ha dato vita (anche con 123 mila euro provenienti dall’8xmille) al Pozzo di Sicar, un piano anti-dipendenze contro l’azzardo patologico, esteso a tutte le età: dagli studenti fino a casalinghe e pensionati, dagli impiegati ai disoccupati. Oggi ha due centri ascolto, di cui uno itinerante, in una diocesi di paesi piccoli e piccolissimi. Gli operatori diocesani fanno inoltre prevenzione nelle scuole e nelle parrocchie, perché il rischio azzardo è insinuante e a portata di mano sui telefoni cellulari, oltre ad aver dato vita ad un numero verde, un corso sull’accompagnamento familiare, una squadra di calcio. Per don Giuseppe, ordinato nel 2000, il desiderio forte di servire il Signore era arrivato a soli 11 anni: “in Seminario Maggiore ho capito che era una vera vocazione” spiega. Don Claudio, cappellano dell’ospedale di Tricarico e parroco della Madonna della Pace a Calle, è invece un riflessivo: “Forse proprio perché l’ho ponderata a lungo, la mia vocazione non è arrivata prestissimo” sorride. In seminario entrò dopo la Laurea in Scienze religiose (prenderà i voti nel 2009). ”Mi sono avvicinato al Signore passo dopo passo. E mio fratello Giuseppe è stato un grande punto di riferimento. Mi ha dato libertà quando la figura di Gesù, la vita dei santi -specie san Francesco- e molte parole nel Vangelo sembravano rivolte a me. Visitare gli ammalati da ragazzo con il mio parroco di allora, la voglia di combattere l’emarginazione, l’emozione del sacramento della Riconciliazione hanno ispirato la mia scelta”. Guardando indietro non hanno dubbi: ”La fede forte e matura di nostra madre, l’assiduità in parrocchia e l’impegno nell’Azione cattolica sono stati decisivi nella scelta del sacerdozio”. Tuttora la ‘piccola’ Basilicata si è messa in luce per numero di vocazioni rispetto alla popolazione: “Di recente sono stati ordinati due giovani, due sono in Seminario e diversi maturano la decisione di prendere i voti. Per far fronte al calo di vocazioni sarà efficace l’indicazione di Papa Francesco – prosegue don Giuseppe – con l’invio di preti fidei donum (dono della fede) fra diocesi italiane là dove servono. Ci farà crescere, renderà le nostre Chiese davvero sorelle”. “Vorremmo dire grazie ai tanti fedeli che con l’Offerta sostengono i presbiteri nella missione – aggiunge don Claudio – Vivificano la Chiesa, mostrano l’unità dei battezzati. E questo accresce la gioia di servire il Signore nei fratelli”. S.N.
DON GILBERTO E DON GIORGIO GARRONE BRA (CUNEO)
“La nostra grande sfida? Aprire luoghi di inclusione dove il ricco condivida spazi e tempo con il povero, dove gli opposti imparino a stare insieme, dove ci si torni nuovamente a parlare”. Don Gilberto Garrone, parroco dell’Unità Pastorale 50, che raccoglie in provincia di Cuneo (e in diocesi di Torino) le parrocchie di Bra, Bandito e Sanfrè. A 57 anni, con il fratello don Giorgio, di 5 più giovane, gestisce anche la “Cittadella della Carità” di Bra, un “miracolo d’amore” avviato nella parrocchia di San Giovanni Battista. Centro di ascolto, mensa, emporio, orti sociali, la Cittadella è l’esempio di quanto conti il tornare a parlarsi. In questo caso è avvenuto tra i sacerdoti di Bra, gli operatori Caritas e gli amministratori comunali. “Ogni territorio deve saper rispondere concretamente alle marginalità – prosegue don Gilberto – Ad un dentista, ad esempio, non devo chiedere solo di pregare, ma di destinare un’ora al mese del suo tempo per una persona bisognosa. Così anche il non credente sente che può dare un contributo importante”.
Inclusione e concretezza sono parole d’ordine per questo sacerdote, che con suo fratello ha ricevuto anche l’incoraggiamento di Papa Francesco per il loro ministero di ‘testimonianza cristiana attraverso le opere’. Alla sera si ritrovano nella casa parrocchiale di Sant’Andrea Apostolo, a Bra. “Essere fratelli ci aiuta tanto perché abbiamo un sentire comune – sorride don Giorgio – anche se a volte capita di discutere. Ma così deve essere tra tutti i confratelli. Noi sacerdoti dobbiamo imparare a lavorare insieme, a volerci bene, ad aiutarci”. Per questo 7 anni fa don Gilberto e don Giorgio avevano chiesto al vescovo di vivere un’esperienza comunitaria con altri due preti. Sogno esaudito solo in parte, per la carenza di sacerdoti. “La Chiesa, quando crea spazi di comunione autentica, diventa fermento – interviene don Giorgio – E questo vale per tutti i cattolici, siamo chiamati ad essere lievito tra tanta farina”. Nel loro piano di carità c’è anche una forte componente educativa. Come nel caso di un originale e rilevante proposta per gli studenti spesso soli, con i genitori che lavorano. La ‘Mensa dei giovani’ è stata appena aperta a Bra, nella parrocchia di S.Andrea: dalle 13.30 alle 18, i ragazzi possono consumare un pasto caldo o semplicemente mangiare il proprio panino in compagnia, anziché soli in una casa vuota. “Anche questa è povertà – conclude don Giorgio – un ragazzino di prima media che sta a casa solo fino a sera. O i casi emersi di giovani che stavano male per denutrizione. Succede a Bra, non chissà dove. Qui dev’esserci una ‘Chiesa in uscita’. Papa Francesco ce lo ricorda, e così ha sempre detto il Vangelo”. D.S