SERVIZIO PER LA PROMOZIONE DEL SOSTEGNO ECONOMICO ALLA CHIESA CATTOLICA
della Conferenza Episcopale Italiana

Fotoreportage >> Maria SS. Consolatrice, a Calatafimi-Segesta (Trapani)

Qui Garibaldi vinse la prima battaglia contro i Borboni. E qui il terremotodel 1968 ha lasciato ferite profonde. Viaggio in una parrocchia del Sud dove fede e tradizione si aprono al futuro. Anche se la messa si celebra in una palestra. «Qui si fa l’Italia o si muore»: sembra riecheggiare il grido dell’eroe dei due mondi […]
2 Agosto 2017
Qui Garibaldi vinse la prima battaglia contro i Borboni. E qui il terremotodel 1968 ha lasciato ferite profonde. Viaggio in una parrocchia del Sud dove fede e tradizione si aprono al futuro. Anche se la messa si celebra in una palestra.

 
«Qui si fa l’Italia o si muore»: sembra riecheggiare il grido dell’eroe dei due mondi in questa collina dove il sacrario dei garibaldini ricorda la prima vittoria dei Mille contro i Borboni. Qui, a Calatafimi-Segesta, prima città libera dell’Italia unita, scorrendo i nomi dei tanti giovani del Nord che hanno perso la vita per un ideale di unità, si ha davvero l’impressione di essere a tu per tu con la storia in uno dei luoghi simbolo del Risorgimento. Il paese si trova arroccato su una collina poco distante dal luogo della battaglia, inerpicandosi per le strette vie del centro si respira una memoria millenaria. Fatta dello splendido tempio dorico di Segesta e del suo teatro – dove d’estate, al tramonto, tornano di scena i grandi classici della commedia latina e della tragedia greca - ma anche delle decine di chiese e conventi, frutto della fede di un popolo profondamente cristiano.
 
Una storia e una memoria che fanno del paese uno scrigno di opere d’arte e di devozione, di fede semplice capace ancora di dar vita a grandi manifestazioni religiose, di generare vocazioni, eppure segnata da contraddizioni e nuove povertà. Don Giuseppe Cacciatore ha 38 anni: una vocazione adulta la sua, sbocciata dopo la laurea in filosofia. In seminario si è presentato con la lettera di rinuncia al posto agognato vinto per concorso. Da tre anni è parroco a Sasi, alla periferia di Calatafimi, un quartiere nato dal nulla dopo il terremoto che nel 1968 rase al suolo alcuni paesi della Valle del Belice. E come per gli altri centri, anche qui sono cresciute le case ma non i servizi. A Sasi non c’è la farmacia, né l’ufficio postale.
 
La comunità parrocchiale si riunisce nella dismessa scuola media: la palestra è adibita a luogo di culto mentre nel resto dell’edificio si trovano le aule per il catechismo. L’economia langue e il paese soffre di una cronica emigrazione verso il Nord, soprattutto di giovani. «Dopo la grande illusione degli anni ’80» racconta don Giuseppe «quando con la speculazione e gli impieghi nell’edilizia sembrava che la città potesse rinascere, oggi le maestranze non hanno più lavoro e anche l’agricoltura è in forte crisi». Così Calatafimi - dichiarata “città” nel 2009 dal presidente Napolitano - è un paese soprattutto di anziani, agricoltori e pensionati.
 
«La mia giornata è fatta di visite a casa agli anziani» spiega il parroco. Un vero e proprio ministero della consolazione a cui si affianca la richiesta della confessione. «Calatafimi è il paese in cui più che in altri centri della diocesi viene amministrato il sacramento della confessione e molti, dagli anziani ai bambini, richiedono la direzione spirituale. È qualcosa che è nel dna delle persone, un sostegno per loro irrinunciabile». La durezza del tempo presente crea una sorta di ipertrofia attorno alle devozioni popolari. «Ancora tante discussioni vengono dedicate a dove una processione deve passare»,ma è in queste tradizioni che il paese ritrova la sua anima, continua ad esprimere la solidità delle sue radici e della sua identità.
 
Antonino Pumo, 30 anni, geometra, è uno dei fedeli che suonano le campane del santuario più importante della città, quello del Crocifisso per il quale dalla seconda metà del Seicento si celebra ogni anno, nei primi tre giorni di maggio, una grande festa popolare. In onore del crocifisso miracoloso i ‘ceti’, i gruppi sociali tradizionali su cui si reggeva la vita economica della città, sfilano in processione per il paese mettendo in mostra il frutto del loro lavoro.
 
Ogni ceto prepara il proprio carro, lo addobba perché sia espressione e simbolo d’abbondanza. Antonino è uno dei “portatori” dell’immagine sacra quando il 3 maggio sfila in processione. «Un onore ed un impegno» dice «che sostiene la mia fede nonostante le difficoltà della vita». Fra i devoti del crocifisso c’è anche Giuseppe, 27 anni, seminarista da 4.
«Quando due anni fa venne catturato in paese il latitante Domenico Raccuglia la reazione dei giovani che applaudirono alle forze dell’ordine fu un segnale di risveglio nonostante le scarse opportunità di lavoro e di realizzazione. Qui il disagio giovanile è profondo ma è anche forte la sete di pienezza e l’adesione al Vangelo».
 
La città vanta un elenco di santi e beati: l’eremita Arcangelo da Calatafimi vissuto a metà tra XIV e XV secolo, il sacerdote Benedetto Vivona, vissuto nel secolo scorso e in paese nessuno riesce a dimenticare la luminosa testimonianza di Manuel Foderà, un bambino di 9 anni stroncato un anno fa da un neuroblastoma che ha offerto la sua vita per la Chiesa. «La mia missione di parroco è questa» conclude don Cacciatore «aiutare a conservare la memoria e sostenere la speranza dei giovani. Con la certezza che oltre ogni male brilla la luce della resurrezione».