SERVIZIO PER LA PROMOZIONE DEL SOSTEGNO ECONOMICO ALLA CHIESA CATTOLICA
della Conferenza Episcopale Italiana

Papa Giovanni, sulle
orme
dell’eterno sacerdote

Alla vigilia della canonizzazione dei due pontefici, voluta da Papa Francesco il prossimo 27 aprile, festa della Divina Misericordia, ecco un profilo della vita sacerdotale di Giovanni XXIII (1881-1963), analogo a quello da noi dedicato in passato a Giovanni Paolo II (Sovvenire-dicembre 2011). Un lungo servizio al Vangelo, ricostruito attraverso i diari di Roncalli e […]
2 Agosto 2017

Alla vigilia della canonizzazione dei due pontefici, voluta da Papa Francesco il prossimo 27 aprile, festa della Divina Misericordia, ecco un profilo della vita sacerdotale di Giovanni XXIII (1881-1963), analogo a quello da noi dedicato in passato a Giovanni Paolo II (Sovvenire-dicembre 2011). Un lungo servizio al Vangelo, ricostruito attraverso i diari di Roncalli e i ricordi del cardinale Capovilla, suo segretario.
«È da Sotto il Monte che bisogna partire» dice il cardinale Loris Capovilla, segretario di Giovanni XXIII dal patriarcato di Venezia alla Santa Sede. Oggi l’uomo che più da vicino conobbe il Papa del Concilio vive a Camaitino (Bergamo), frazione del paese natale del nuovo santo, nella Casa dei Ricordi di Angelo Roncalli, dove, lucidissimo 98enne, cura l’Archivio di scritti roncalliani. Lì, dove ai primi del ’900 c’era un pugno di cascine campestri va ricercata la vocazione di Angelo bambino, quarto di dodici figli, entrato in seminario a 10 anni sulla scia dell’ascendente esercitato su di lui dal parroco di Sotto il Monte, don Francesco Rebuzzini.
Nel Giornale dell’Anima, il diario spirituale di Roncalli, don Francesco è descritto come «la vivente immagine del sacerdote integerrimo», «colui che tanto ha fatto per me, che mi ha allevato, che mi ha indirizzato al sacerdozio».
Nel 1959, già Papa, ripeterà: «Mi considero figlio spirituale autentico e benedetto per il battesimo e per l’educazione al sacerdozio» di quel parroco, «figura modesta, ma di un contorno di pietà, di saggezza e bontà incomparabili».
Il Papa confidò al segretario che fu don Francesco a chiedergli per la prima volta se desiderava farsi sacerdote, cosa che né i genitori, né il prozio e padrino Zaverio avevano osato domandargli. Il piccolo sarebbe dovuto diventare un buon contadino come loro. «Il Sacro Cuore invece mi volle fra i suoi eletti, e si servì di quell’anima benedetta del mio parroco» annota nel diario.
I suoi appunti rivelano nell’adolescenza le radici della ricerca di santità attraverso un metodo. Uno dei sacerdoti di riferimento nella sua formazione, il redentorista Francesco Pitocchi, gli lasciò un motto da cui Angelo si sarebbe lasciato accompagnare fino alla fine dei suoi giorni: «Dio è tutto, io sono nulla».
Nessun familiare poté assistere, il 10 agosto 1904, all’ordinazione sacerdotale a Roma, nella chiesa di Santa Maria in Montesanto, a Piazza del Popolo. Roncalli vive dunque in solitudine il momento in cui ascolta dal vicegerente, monsignor Giuseppe Ceppetelli: tu es sacerdos in aeternum.
Ma non per questo è minore la sua gioia e dopo aver visitato nel pomeriggio gli altari dei santi e le immagini mariane più care nelle chiese romane annota: «Solo col mio Dio, che mi aveva tanto esaltato, solo coi miei pensieri, coi miei propositi, colle mie dolcezze sacerdotali. Mi pareva quella sera di avere una parola da dire a tutti, e che ciascuno di quei santi ne avesse una da dire a me. Ed in verità era così».
Alla scuola di un grande vescovo come Giacomo Radini Tedeschi, nel 1931 viene nominato delegato apostolico (rappresentante papale per i Paesi con i quali la Santa Sede non ha rapporti diplomatici) prima in Bulgaria, dal 1934 in Turchia e Grecia.
Nel 1944 è nunzio a Parigi, nel 1953 patriarca di Venezia. Continua a identificare la sua missione sacerdotale con “oboedientia et pax”, suo motto vescovile.
Al cardinale Capovilla sembra ancora di risentirne la voce mentre gli ricorda la lezione appresa nel duomo della sua Bergamo: «Oltre alle virtù teologali e cardinali, l’ottava statua raffigura la pazienza. Dove c’è la pazienza dimora anche la letizia. Non si va a Dio senza la luce di queste sette lampade.
E non si tiene saldo il gomitolo del nostro destino senza il culto della pazienza»

L’EREDITÀ DEI SUOI 55 MESI

Il Papa del Concilio, testimone
di misericordia
Eletto a 77 anni, doveva essere pontefice di transizione dopo la guida ventennale di Pio XII. Fu invece il Papa del Concilio e, in piena guerra fredda, nel confronto Kennedy-Kruscěv, della Pacem in terris, che ancora ci parla di diritti umani, rifugiati e uguaglianza tra i popoli, nell’età della proliferazione permanente delle armi. Meravigliò per l’iniziativa pastorale, con le visite a carcerati e infermi, opere di misericordia, per l’energia e lo spirito riformatore. Il dialogo ecumenico e con i non credenti li aveva esercitati in Bulgaria con gli ortodossi; in Turchia e Grecia, Paesi tra loro nemici, mitigando l’asprezza di Ataturk verso Roma e stringendo amicizia con Atenagora. Nella Grecia occupata dai nazisti aveva salvato migliai di ebrei, distribuendo permessi d’emigrazione per la Palestina e certificati di battesimo temporanei. Nei 55 mesi di pontificato internazionalizzò il collegio cardinalizio, riformò il codice di diritto canonico del 1917 e – pur sapendo che il cancro gli lasciava poco tempo – convocò il Concilio, per dare alla Chiesa respiro e rinnovato ruolo nel mondo contemporaneo, sull’orizzonte della riunificazione della cristianità. «Da una parte mi trovo sulla soglia dell’eternità, vicino all’ora estrema» appuntò nel Giornale dell’anima, «dall'altra confido e guardo innanzi a me giorno per giorno, continuando le mie occupazioni, sempre con sforzo di perfezione, ma più ancora pensando alla divina misericordia». Al primo giorno del Concilio, 11 ottobre 1962, risale il suo “discorso della luna”, messaggio della “carezza del Papa” e della fiducia in Dio “che ci aiuta e ci ascolta”. Quella sera non pensava di affacciarsi alla finestra. «Non parlo, ho già detto tutto stamane» disse a monsignor Capovilla. Che però gli mostrò la folla, in una piazza San Pietro punteggiata di piccole fiaccole, arrivate in processione. Lui gli chiese la stola. A braccio pronunciò il discorso papale forse più celebre di ogni tempo, percorso da finezza apostolica e misericordia. Dopo confidò al segretario: «Non sapevo proprio cosa dire. Mi sono rivolto alla mia Teresina», saldo nella devozione a santa Teresa di Lisieux. Beatificato nel 2000 da Giovanni Paolo II, con lui Papa Giovanni condividerà il giorno della santità, il 27 aprile. Festa del mistero della Divina Misericordia, da entrambi testimoniato: «Ad esso si attinge» scriveva santa Faustina Kowalska, custode delle rivelazioni speciali «solo con la fiducia illimitata nel Padre». (R.S.).