SERVIZIO PER LA PROMOZIONE DEL SOSTEGNO ECONOMICO ALLA CHIESA CATTOLICA
della Conferenza Episcopale Italiana

Il parroco martire
per amore del suo popolo

È stato avviato a primavera 2015 il processo di beatificazione di don Giuseppe Diana (4 luglio 1958-19 marzo 1994). La sua eredità è viva. Nelle decine di opere di carità, associazioni e nelle scuole che in Campania e in tutta Italia oggi portano il suo nome. Eccone il profilo nelle parole dei sacerdoti che da lui hanno raccolto il testimone di libertà evangelica e giustizia.
2 Giugno 2015

a cura di TERESA CHIARI e GRAZIA CECCONI
foto AGENZIA ROMANO SICILIANI / CREATIVE COMMONS/GRAZIA CECCONI/CREATIVE COMMONS


A 21 anni dal suo assassinio e a pochi mesi dall’avvio del processo di beatificazione ‘per il martirio in odio alla fede’, a Casal di Principe (in provincia di Caserta e in diocesi di Aversa) qualcosa è cambiato. Per i 20 mila abitanti, il 5% dei quali proveniente da oltre 30 Paesi, impiegato nell'’economia agricola dell’Agro aversano, le 4 parrocchie cittadine sono tra i pochi luoghi di aggregazione. In quella di don Diana, San Nicola di Bari, la sua opera è stata proseguita da don Francesco Picone. Aveva 36 anni don Peppe quando fu assassinato, 27 don Franco quando fu chiamato a succedergli. Oggi a San Nicola funzionano anche un asilo, un campetto, scuola di legalità e segretariato dei migranti.

 

LA VOCAZIONE IN UNA TERRA IMPAURITA
Di questa comunità don Diana era diventato parroco il 19 settembre 1989, festa di uno dei primi martiri della Chiesa campana, san Gennaro. Una vocazione precoce la sua: a 10 anni in seminario ad Aversa. Poi la laurea in Filosofia e in Teologia biblica. Nel 1982 l’'ordinazione. Era segretario del vescovo Gazza, assistente scout, insegnante di religione all’'Itis di Aversa. Era ormai fuori da Casale, ma scelse di tornare. Negli anni ’80 i Casalesi erano uno dei cartelli criminali più influenti d'’Europa. Con un impero economico - ha mostrato il processo Spartacus - esteso a tutta Italia, Spagna, Germania, Romania, che coinvolgeva politici e borghesia imprenditoriale, tuttora non del tutto disarticolato, ha segnalato l'’operazione ‘Spartacus reset’ di marzo 2015. Nel 1989 quando don Peppe diventa parroco, in Campania si contano 2.621 omicidi per il controllo di appalti, ciclo dei rifiuti e del cemento, estorsioni, cocaina. Don Diana cominciò dalla formazione dei giovani, contrapponendo la libertà del Vangelo alla sottocultura mafiosa. “Temevo gli succedesse qualcosa - ricorda la madre Iolanda - nelle omelie parlava spesso di camorra. E’ la Chiesa che mi dice di farlo, mi spiegava”. Coordinò la testimonianza sul territorio con la lettera Per amore del mio popolo non tacerò (Isaia 62,1) con i parroci della forania di Casale a Natale 1991. Un documento vivo, temuto dai boss.
Oggi che l'’infiltrazione economica delle mafie viene combattuta in tante città italiane, quelle parole risuonano nette: “la camorra è una forma di terrorismo che tenta di diventare componente endemica nella società. I camorristi impongono con la violenza regole inaccettabili: estorsioni che tolgono ogni capacità di sviluppo; tangenti, che scoraggerebbero l’'imprenditore più temerario; traffici illeciti e manovalanza a disposizione. Sono flagelli, veri laboratori di violenza”.

“SI E’ CONSEGNATO A DIO”
Il 19 marzo 1994 alle 7 don Diana in sacrestia si preparava per la S.Messa. Ricorda Augusto Di Meo, unico testimone: “quella mattina ero andato presto in chiesa. Era San Giuseppe e con Peppe ci eravamo fatti gli auguri per il suo onomastico e a me per la festa del papà. Commentammo l’'ultimo omicidio di camorra e Peppe mi disse che dovevamo pregare. All’'improvviso arrivò un uomo. Disse: ”Chi è don Peppe”. In pochi secondi sentii 5 spari e vidi il mio amico cadere all'’indietro in un lago di sangue”. Di Meo confermò a più riprese l'’identità del sicario in Giuseppe Quadrano, pagando la testimonianza con l'isolamento sociale.
Ai funerali Casale si riempì di lenzuoli bianchi alle finestre. Giovanni Paolo II lo ricordò nell’'Angelus. I clan tentarono di svilire la sua morte: questioni private, nessuna denuncia del sistema. Ma generazioni di giovani da allora fecero una scelta di campo. Lo stesso romanzo Gomorra di Roberto Saviano deve il titolo a un’omelia di don Diana. Il vescovo di Aversa, mons. Angelo Spinillo, lo ha affiancato ad altri martiri uccisi negli stessi anni dai clan, don Puglisi e il giudice Livatino: “in essi non si riconosce solo un coraggio vissuto fino all’'eroismo, una sensibilità capace di reagire davanti alle sofferenze dell’'umanità oppressa, o una visione sapiente della verità, ma una presenza che si affida a Dio, che si consegna a Dio”.

 

“HAI SCOMMESSO SULLA VOLONTÀ
DEGLI UOMINI DI CAMBIARE”
Sono 20 anni che passo per quel corridoio che ha raccolto il tuo ultimo sguardo - ha scritto don Franco Picone, che con perseveranza e nonostante le intimidazioni ha guidato la parrocchia di San Nicola- e verificando i cambiamenti in questo popolo, mi rendo conto che non si può amare senza essere eccessivi. Questa terra, liberata quasi totalmente dalla vecchia schiavitù, e non ancora capace di camminare su strade sicure e alternative, deve essere amata da cuori liberi come il tuo. Hai scommesso sulla volontà degli uomini di cambiare. La tua fede mi ha colpito più di ogni altra cosa. Grazie perché mi hai fatto ritrovare quell'immenso amore nel quale anche tu ti sei perso”. “Caro don Peppino, tu ci hai cambiato - ha scritto don Maurizio Patriciello, voce senza paura nella ‘Terra dei fuochi’- Come Gesù hai versato il sangue per riscattarci dall’'infamia che da anni vuole tenerci prigionieri. La tua morte ha segnato in modo indelebile la nostra diocesi di Aversa e la Chiesa italiana. Dal tuo seme sono nate spighe meravigliose. Tu non sei morto, sei più vivo che mai. Prega per noi. Perché i fratelli camorristi, che hanno sottoscritto un patto scellerato con la propria coscienza, possano pentirsi e chiedere perdono. Prega perché questa tua terra maltrattata e bella, da ‘Terra dei fuochi’ torni orgogliosamente ad essere ‘Terra di lavoro’, ‘Campania felix’.