SERVIZIO PER LA PROMOZIONE DEL SOSTEGNO ECONOMICO ALLA CHIESA CATTOLICA
della Conferenza Episcopale Italiana

Dal giardino perduto al deserto fiorito

“Il giardino non è solo metafora di una patria perduta di cui sentiamo una nostalgia profonda, ma anche la possibilità di anticiparlo in questa vita terrena, perché la presenza di Gesù fa fiorire perfino un deserto e mette pace ai sentimenti più bestiali”. Abbiamo chiesto al biblista Martino Signoretto di accompagnarci in un viaggio dal libro della Genesi fino all’Apocalisse, seguendo le tracce dell’immagine del giardino nella Sacra Scrittura. Passando dal libro del profeta Isaia al Cantico dei Cantici, dal Vangelo di Marco a quello di Giovanni, lo scenario dell’Eden cede il posto alla vigna del Signore, al giardino come figura dell’amata o come teatro del primo incontro del Risorto con la Maddalena, che non lo riconosce come “custode del giardino”, finché non viene chiamata per nome.
14 Giugno 2021

di MARTINO SIGNORETTO

Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato (Gen 2,8).
Queste parole del Libro della Genesi descrivono gli inizi dell’umanità immaginando l’uomo e la donna appena creati in quel meraviglioso giardino in cui sentirsi a casa, il paradiso.
Con Gen 3 l’uomo e la donna compiono la loro prima trasgressione (Gen 3,1-7). In cambio della conoscenza - in altre parole in cambio di potere - perdono qualcosa. Perdono l’accesso al giardino (Gen 3,23). Cacciati dal giardino, entrano in una terra desertica, un territorio difficile, difficile da coltivare. Nel giardino la vita era donata, era eterna. Cacciata dal giardino, l’umanità deve far i conti con la morte. Ora la vita non è più qualcosa di scontato, ma va alimentata di giorno in giorno. Per vivere si deve sudare, per partorire si deve soffrire.
Nell’uomo e nella donna rimarrà sempre una sorta di nostalgia di questo ambiente originario, nostalgia di un’oasi di pace, senza il dolore, senza la morte, dove tutto è dono.
Ecco che gli uomini e le donne della Bibbia, come i patriarchi, Mosè e i profeti, lo stesso re Davide, sono uomini e donne sempre in cammino, sempre in perenne ricerca di una terra promessa (Eb 11,9-10; 2Pt 12,26), un ritorno a casa, il ritorno al giardino perduto.
Nell’immaginario orientale il concetto di giardino è più vicino al frutteto che a un tappeto di fiori. Non solo. In un giardino orientale la pianta più significativa è il vigneto. La vigna nel linguaggio biblico rappresenta il popolo stesso:
Canterò per il mio diletto il mio cantico d’amore per la sua vigna. Il mio diletto possedeva una vigna sopra un fertile colle (Is 5,1).
La cura di chi è custode di una vigna è immagine dell’amore del Signore Dio che si prende a cuore il popolo di Israele, con la cura e la pazienza di un contadino. Questo immaginario ci aiuta a comprendere che il giardino è luogo di doni. Il frutteto, infatti, è alimento, è dono, è contemplazione di sapori e colori, che uniscono l’aspetto estetico con il piacere del gusto.
Nel Cantico dei Cantici, dove gli amanti sognano il loro incontro amoroso in un contesto bucolico, la stessa amata è paragonata ad un giardino: 
“Giardino chiuso tu sei, sorella mia, mia sposa, sorgente chiusa, fontana sigillata. I tuoi germogli sono un paradiso di melagrane, con i frutti più squisiti, alberi di cipro e nardo” (C5 4,12-13). 
Questa esperienza ispira le immagini poetiche dell’amato per parlare di lei, della sua bellezza, della relazione che si stabilisce con l’amata, una relazione che dà gusto e colore alla vita, come i vari frutti e fiori citati nel testo. Il giardino degli amanti del Cantico dei Cantici esprime un modo di affermare il loro amore passionale, travolgente, gustoso, piacevole, potente.
Il giardino si ripresenta come luogo di incontro anche nel racconto dell’apparizione di Gesù alla Maddalena:
“Le disse Gesù: Donna, perché piangi? Chi cerchi? Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo. Gesù le disse: Maria!” (Gv 21,15-16). 

Maria Maddalena incontra il custode del giardino senza riconoscerlo. Basta essere chiamata per nome e la relazione riprende vita, quel giardino che custodiva una tomba, segno della morte, ora è diventato il luogo dell’incontro, segno che lui è vivo.
Anche per parlare di un mondo futuro il racconto biblico utilizza l’immagine del giardino:
Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa. Come fiore di narciso fiorisca; sì, canti con gioia e con giubilo. Le è data la gloria del Libano, lo splendore del Carmelo e di Saron. Essi vedranno la gloria del Signore, la magnificenza del nostro Dio (Is 35,1-2).
Il deserto è il contrario del giardino, è luogo inospitale, quindi luogo di passaggio, di prova. Isaia profetizza la possibilità che proprio il deserto si trasformi in un nuovo Eden.
Isaia aveva visto i deserti diventare prati verdi e fioriti a seguito delle rare piogge torrenziali, immagine potente del giardino terrestre (Is 51,3). In Is 11,6-8, poi, il profeta descrive come anche animali feroci diventino mansueti:
Il lupo dimorerà insieme con l’agnello; il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo li guiderà. La mucca e l’orsa pascoleranno insieme; i loro piccoli si sdraieranno insieme. Il leone si ciberà di paglia, come il bue. Il lattante si trastullerà sulla buca della vipera; il bambino metterà la mano nel covo del serpente velenoso.
Un’idea simile sembra ripresa proprio dall’evangelista Marco:
E subito lo Spirito lo sospinse nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano (Mc 1,12-13). 
Marco fa riferimento a una tradizione secondo la quale Adamo e Eva nell’Eden vivevano in pace con gli animali, anche quelli feroci, ed erano serviti dagli angeli. L’espressione “stava con le fiere”, diventa profezia di tutto un mondo nuovo, sostenuto da relazioni guarite, rinnovate e salvate: un mondo di pace totale.
Il giardino allora non è solo metafora di una patria perduta di cui sentiamo una nostalgia profonda, ma anche la possibilità di anticiparlo in questa vita terrena, perché la presenza di Gesù fa fiorire perfino un deserto e mette pace ai sentimenti più bestiali.
Siamo partiti con l’immagine del giardino terrestre e alla fine, nell’ultimo capitolo dell’Apocalisse, la Bibbia ci riporta di nuovo dentro un contesto paradisiaco che ancora si esprime in termini simili:
“E mi mostrò poi un fiume d’acqua viva, limpido come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell’Agnello. In mezzo alla piazza della città, e da una parte e dall’altra del fiume, si trova un albero di vita che dà frutti dodici volte all’anno, portando frutto ogni mese; le foglie dell’albero servono a guarire le nazioni” (Ap 22,1-2).
È un augurio che nel nostro cammino terreno, i deserti fioriscano anticipando la bellezza, il gusto e il piacere della patria futura.