SERVIZIO PER LA PROMOZIONE DEL SOSTEGNO ECONOMICO ALLA CHIESA CATTOLICA
della Conferenza Episcopale Italiana

“Quel prete del Vomero sempre accanto a me”

4 Novembre 2020

di SILVIO ORLANDO attore e registaTesti a cura di MARTINA LUISE foto AGF

 

Le mie prime prove d’attore sono state le poesie di Natale recitate allo specchio da bambino. In casa mio padre amava molto il teatro e Totò. Il primo spettacolo a cui ricordo di aver assistito era un monologo napoletano con Enzo Cannavale in cui il pubblico era totalmente dalla sua. Come omaggio negli anni ’90 firmai la mia prima regia teatrale intitolandola “Enzo Cannavale”. Vissi due anni con lui in tournée,  con le due farse di Peppino De Filippo ‘Cupido scherza e spazza’ e ‘Don Raffaele e il trombone’, che restano tra i momenti più irresistibili della mia vita. Avevo accesso ad una generazione ricchissima del teatro napoletano, senza rete di protezione: era come un tuffo a mare dove puoi centrare l’acqua ma rischi anche di trovare lo scoglio. Andare in scena per me era una seconda vita: non sono stato un bambino sereno, sentivo la mancanza di mia madre, che ho perso a 9 anni. Così il mio gioco preferito era isolarmi nella grande biblioteca di casa, di quelle di cui allora si dotava la piccola borghesia degli anni ’60 in cerca di legittimazione culturale. Passavo lì intere giornate. Poi dai 13 anni, amici e calcio. Mamma forse mi avrebbe avviato all’oratorio, ma ci arrivai comunque per la Prima Comunione, per giunta con un’attenzione ossessiva verso i miei peccati: andavo a confessarmi ogni giorno. Nonostante il furore ideologico di quegli anni non ho mai avuto un periodo anticlericale o anarchico, com’è accaduto a molti. Ho sempre lasciato aperte le porte, perché intuivo nella fede qualcosa di magnifico, di cui non sempre mi sentivo all’altezza. Poi a 15 anni, con padre Luigi Dini, mio professore di lettere, mi ritrovai in parrocchia a Napoli, dove lui gestiva un cineforum. La storia del cinema italiano è debitrice per certi versi alle parrocchie, perché negli anni ’60 e ’70 certi film li vedevi solo nei cineforum spesso gestiti dalle chiese locali. Renoir, Fellini, Hitchcock. Davanti al grande schermo –mentre padre Dini ci parlava- si accese un fuoco ha poi segnato la mia vita. Quel prete illuminato che al Vomero era un mito, è stato probabilmente l’incontro più formativo per me. Tuttora, a 88 anni, collabora con la stessa parrocchia di Santa Maria della Rotonda. Aveva superato gli 80 quando è venuto a vedermi a teatro: “volevo prendere la mia solita Vespa, ma ho un po’ di artrite” mi disse. Grande umanità, interessi culturali sconfinati: nella sbornia ideologica di quegli anni in cui la Chiesa perdeva consensi e terreno, al cineforum ci insegnava a parlare di tutto. Ecco, io sono un ex alunno di padre Dini. E mi ispirai a lui per il personaggio del professor Vivaldi nel film ‘La scuola’ (1995) di Daniele Luchetti. Da giovane pativo guardando la distanza tra realtà di ogni giorno e il Vangelo. Oggi abbiamo un Papa che per molti versi ci ha restituito la Parola evangelica, che in ogni epoca è dirompente. Papa Francesco ha trascorso anni tragici in Argentina, ha visto cose inaudite. E forse questo lo ha reso capace di parlare a tutti, anche ai lontani. Lo ascolto sempre. Credo che i sacerdoti oggi, con tutte le possibili contraddizioni, rappresentino uno dei pochi punti di riferimento. Tra l’altro, e mi fa fatica dirlo perché vorrei una società civile più edificante, la Chiesa è rimasta l’unica a parlare dei poveri, nessun altro ne parla più, peggio della censura. E’ saltato il tappo dell’egoismo, che prevale su tutto. Rispetto a tante scelte distruttive, la Chiesa è un argine di vita. Nella mia carriera ho rivestito ruoli di religiosi: personaggi storici, come l’abate falsario padre Giuseppe Vella, protagonista de ‘Il Consiglio d’Egitto’ di Emidio Greco (2002), tratto dal romanzo di Leonardo Sciascia. O immaginari, come lo spregiudicato cardinale Voiello, creato da Paolo Sorrentino, tra potere e aperture di pietà cristiana, perché trascorre il tempo libero con Girolamo, ultimo della terra, da cui tutti fuggono. Io non sono un fanatico, di nulla. Neppure del Napoli. Nella mia vita ho messo sempre al centro il dubbio. Ma se mi trovassi a parlare con un bambino, lo consiglierei di accettare questa grande possibilità che è Dio. E’ il grande incontro per ogni essere umano in cerca di risposte.

 

AMATISSIMO DAL PUBBLICO

Antieroe e mattatore da oltre 40 film

Uno dei suoi personaggi preferiti gli valse un David di Donatello. Il  pasticciere in Aprile (1998) di Nanni Moretti, sintesi perfetta della versatilità che ha fatto di Silvio Orlando (Napoli, 1957) un campione del teatro e un attore di culto per il cinema. Esordì diciottenne sulla scena teatrale partenopea, mentre il primo ruolo da protagonista sul grande schermo arrivò con Moretti (Palombella rossa, 1988). Avati, Piccioni, Luchetti (Il portaborse 1991), Mazzacurati, Virzì, Salvatores, Calopresti, Sorrentino sono solo alcuni dei registi che hanno esaltato la sua moderna maschera tragicomica. I sodalizi più proficui con Luchetti (che lo ha diretto anche in Lacci del 2020) e Moretti, per cui ha interpretato Il caimano e La stanza del figlio (con Laura Morante). La serie The Young Pope/The New Pope l’ha imposto tra 2016 e 2020 anche all’estero come interprete inimitabile. È sposato con l’attrice Maria Laura Rondanini.
LAURA NOVELLI