SERVIZIO PER LA PROMOZIONE DEL SOSTEGNO ECONOMICO ALLA CHIESA CATTOLICA
della Conferenza Episcopale Italiana

Il mistero d’amore che ci rivela Dio

Fin da piccoli abbiamo imparato il segno della croce, rivolgendoci a Dio nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Don Luca Pedroli, docente di Letteratura giovannea al Pontificio Istituto Biblico di Roma, rilegge le Scritture alla luce del mistero cristiano per eccellenza, quello della Santissima Trinità. Tentare di capirlo è ‘svuotare il mare con un guscio di noce’ secondo la nota metafora attribuita a sant’Agostino, che indicava: “Vedi la Trinità se vedi l’Amore”. Anche oggi, in tempi di individualismo e contrapposizioni, per le famiglie e la società è modello che cambia il cuore e ci salva.
29 Luglio 2020

a cura di TERESA CHIARI foto AGENZIA ROMANO SICILIANI/CREATIVE COMMONS

 

La Santissima Trinità ci appare il mistero più lontano e inafferrabile. Come avvicinarci?
È un enigma per la ragione, ma è anche quanto di più vicino a noi possiamo immaginare: perché è il Dio-amore, mistero di comunione nella sua dimensione più alta e più vera. Piuttosto che con la mente, possiamo intuirlo con il cuore dove lo Spirito ha la sua dimora. Lì si può avvicinarlo. Tre persone che si amano così tanto da essere – da sempre – una sola. È “il Dio dell’amore e della pace’’ come lo chiama san Paolo (2 Cor, 13, 11-13).
Il Signore si rivela e si nasconde. E’ così anche nelle Scritture?
È la modalità in cui Dio si fa conoscere. Come nell’Eucaristia, il suo nascondimento non ci schiaccia, non si impone, ma ci fa sentire quanto siamo amati. È così che ci mettiamo in ascolto e in ricerca. Pensiamo nell’Antico Testamento ai tre personaggi misteriosi che visitano Abramo alle Querce di Mamre. O a Mosè, che davanti al roveto ardente chiede al Signore il suo nome: “sarò Colui che sarò -gli viene detto- Sono il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe”, cioè Dio disvela l’orizzonte di un progetto da realizzare insieme. Gli parla di mettersi in cammino, aprendosi ai fratelli e conformandosi a Lui, in un atteggiamento di continua conversione. Poi nel Cantico dei Cantici: l’amata cerca l’amato che si è rivelato ma si cela, sa che c’è ma non lo trova al risveglio. E’ innamorata dell’attesa dell’altro che ancora non è lì, ma attesta la sua presenza. Il Signore è Parola, azione e misericordia che non ci abbandonano mai. E ama chi ascolta la sua voce. Dio ci supera infinitamente: per questo si rivela e si vela. Lo vedremo così come è solo quando saremo davanti a Lui.
E nei Vangeli?
A differenza dei sinottici (Matteo, Marco e Luca, ndr) negli scritti giovannei respiriamo già la Trinità, la contemplazione del mistero di Dio nella sua profondità. Fin dall’inizio, l’inno del prologo (‘In principio era il Verbo’) ci immette in questa relazione del Padre con il Figlio e lo Spirito Santo. Quando viene presentato il Verbo “che in principio era presso Dio” ed “era Dio”, che si è fatto carne, ha preso dimora tra gli uomini e poi è tornato al Padre, sprofondiamo nella Trinità. “Dio nessuno l’ha mai visto, l’Unigenito ce lo ha rivelato” e il Figlio è rivolto verso il Padre nell’atteggiamento dell’abbraccio che non si consuma mai, come nel roveto ardente. Il fuoco, la forza di questo abbraccio continua ad ardere da sempre e per sempre. I 18 versetti iniziali sono la chiave di lettura dell’intero Vangelo di Giovanni. Il prologo è nel segno del ‘noi’: Giovanni e la  giovane Chiesa vivono ogni giorno alla luce di Cristo e della Trinità. In una comunità unita ‘Dio-relazione’ si manifesta: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23). Lo Spirito in una comunità unita porta ad aprire il cuore, a contemplare l’indicibile. E’ respiro trinitario, che non dice mai nulla di sé ma ci parla del Padre e del Figlio. E così fanno il Padre e il Figlio: uno rivela l’altro. “Chi vede me, vede il Padre” dice Gesù (Gv 14,9): il Padre porta a compimento il suo disegno nel Figlio e lo Spirito fa luce su entrambi, in un abbraccio che ci dà la vita.

Eppure quello dell’evangelista e dei primi cristiani non era un periodo storico facile.
Giovanni e i suoi affrontavano persecuzioni e divisioni interne. Guardare alla Trinità non solo li consolava per la promessa di beatitudine, ma tracciava la loro identità comunitaria contro la tentazione di dividersi. Anche per noi, in tempi di individualismo sfrenato e contrapposizioni, la Trinità è la strada da seguire. La verità infatti non è un principio, ma una presenza e una relazione che ci mostra quello che dovremmo essere. Dunque non egoisti e idolatri di noi stessi, ma figli, bisognosi di amore e chiamati ad amare. Il mistero trinitario parla anche di generazione (‘generato non creato’) come una relazione autentica, che rispetta l’altro, non lo mette in secondo piano, non lo sfrutta, ma lo asseconda nella sua pienezza. Nella Chiesa e in famiglia, la Trinità è una scuola di verità per le nostre relazioni, da quelle coniugali al rapporto genitori-figli: ci insegna paternità e maternità, figliolanza e fraternità, così come l’Unigenito è il solo che può rivelarci il Padre, la sua forza e la sua tenerezza. All’opposto, la tentazione semina sfiducia, il peccato rescinde la relazione. Come tra Caino e Abele, o nelle coppie ferite: il demonio, il “divisore” strappa e getta via, sfregia la comunione per cui siamo stati creati e deturpa la nostra identità improntata sulla Trinità.
Come scorgere un’impronta trinitaria nelle nostre comunità o nei matrimoni, segnati da fatiche, talora da fallimenti?
Quando, nonostante inadeguatezze e cadute, riusciamo a dare segni del bene che ci vogliamo, dei pesi che portiamo l’uno dell’altro, a perdonarci, allora riusciamo a dire qualcosa di Dio, trasmettiamo un riflesso di quello che Lui è, del mistero di unità e di amore che Lui è. Marito e moglie, padre e madre, in forza del sacramento sono chiamati ad essere profeti della Trinità. Amore e unità sono la via per vivere già qui con Dio e in Dio, in attesa della casa che ci attende: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in Lui non vada perduto ma abbia la vita eterna” (GV 3,16).
La mistica santa Elisabetta della Trinità diceva: “Amare è imitare Maria, esaltando la grandezza di Dio”.
Maria genera il Figlio nello Spirito, ma sempre nell’ottica della gratitudine e della libertà: “Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia” (Gv 1,16); questa è Maria! La Sacra Famiglia è icona trinitaria, in cui ognuno si muove verso l’altro ed è al servizio dell’altro. Non lo possiede, ma lo riconosce come dono. l