SERVIZIO PER LA PROMOZIONE DEL SOSTEGNO ECONOMICO ALLA CHIESA CATTOLICA
della Conferenza Episcopale Italiana

Sull’orlo dell’abisso
la Chiesa è rifugio

Nella terza guerra civile centrafricana, con migliaia di morti e 1,5 milioni in fuga dalle violenze tra musulmani e cristiani, le forze internazionali UE-ONU interverranno solo a settembre. Un ritorno alla convivenza sembra impossibile. “Ma - dicono i sacerdoti rimasti - è l’unica via per la pace”.   Una nazione a rischio genocidio, dove dall’inizio […]
2 Agosto 2017

Nella terza guerra civile centrafricana, con migliaia di morti e 1,5 milioni in fuga dalle violenze tra musulmani e cristiani, le forze internazionali UE-ONU interverranno solo a settembre. Un ritorno alla convivenza sembra impossibile. “Ma - dicono i sacerdoti rimasti - è l’unica via per la pace”.

 

Una nazione a rischio genocidio, dove dall’inizio della crisi (a dicembre 2012, culminata nel colpo di Stato a marzo 2013) la popolazione ha assistito a terribili atrocità: migliaia di case bruciate, omicidi di massa, cadaveri abbandonati dappertutto. «Avevo visto simili crudeltà solo nei documentari sull’olocausto ruandese» ha detto l’arcivescovo di Bangui, Dieudonnè Nzapalainga. I miliziani Seleka (per lo più musulmani in un Paese all’80% cristiano) contestavano al presidente Bozizé la mancata redistribuzione dei proventi della ricca industria mineraria nazionale (oro, diamanti e uranio). Il loro arrivo al potere ha avuto conseguenze drammatiche sui rapporti interreligiosi: hanno colpito duramente la Chiesa locale, e in risposta bande cristiane (anti-Balaka) hanno cercato vendetta contro i fedeli islamici. Così in pochi mesi l’emergenza ha visto prima profughi cristiani e poi musulmani, che a migliaia cercano scampo in Ciad e in Camerun da uccisioni, mutilazioni, saccheggi e case incendiate.

«La partenza dei musulmani impedisce di ricostruire la convivenza pacifica di cui il Centrafrica ha assolutamente bisogno» spiega padre Aurelio Gazzera, missionario carmelitano e direttore della Caritas diocesana di Bouar. Come tutte le chiese del Paese, anche la parrocchia guidata dal religioso a Bozoum (qui il suo blog http://bozoum.blogspot.it) ha accolto migliaia di rifugiati, cristiani e musulmani. Un aiuto reso possibile anche dall’8xmille «che ci ha permesso di restare accanto alla gente. Per loro la Chiesa è l’unica sicurezza». Mentre le violenze continuano, l’arrivo dei 12 mila caschi blu Onu e dell’Unione europea è paradossalmente previsto solo a settembre, e gli 8mila soldati inviati da Francia e Unione africana non sono sufficienti. «Con così pochi uomini -afferma monsignor Nzapalainga- è impossibile restaurare la pace nell’intero Stato». Medici senza frontiere, dopo 115 attacchi subiti, ha sospeso le attività nel Paese. Nella chiesa di Bouca sono rifugiati 7 mila cristiani, circondati dai Seleka; 4.600 in quella di Grimani, mentre il 90% delle famiglie musulmane è fuggita dalla capitale Bangui. Nella corsa contro il tempo per salvare le vite e la pace la Chiesa cattolica, nonostante grandi rischi, fa il possibile.


CON LE NOSTRE FIRME

Dall’Italia aiuti
per 9 milioni di euro
La Repubblica Centrafricana (4,4milioni di abitanti), ricca di risorse minerarie, dopo l’indipendenza dalla Francia nel 1960 ha conosciuto povertà e instabilità politica indotte dai grandi interessi estrattivi in gioco.Oggi è stremata dalla guerra civile, forse avviata ad una spartizione, dopo che la minoranza musulmana è sfollata a nord e a est. Dal 1990 l’8xmille dall’Italia ha significato per Bangui 136 interventi per complessivi 9 milioni di euro. Dagli aiuti alle missioni all’acquisto di testi scolastici, poi sostegno ai licei e formazione degli insegnanti, istruzione per orfani e bambini di strada. Inoltre farmaci, macchine per lo screening neonatale e gruppi elettrogeni, centri salute diocesani e prevenzione della poliomielite. Gli aiuti dei fedeli italiani hanno sostenuto inoltre cooperative di contadini (colture del riso e olio di palma) e corsi professionali (meccanica, informatica, media). Fondi anche alle radio cattoliche. Una in particolare Bê-Oko (‘Un cuore solo’), a Bambari, dopo i saccheggi continua a trasmettere da un container, con messaggi di riconciliazione: «Il vescovo ha chiesto a tutti i leader religiosi di prendere il microfono» ha spiegato il responsabile, l’abate Firmin. Segni di speranza da cui ripartire. Perché solo con la guerra tutto è perduto. M.P.