SERVIZIO PER LA PROMOZIONE DEL SOSTEGNO ECONOMICO ALLA CHIESA CATTOLICA
della Conferenza Episcopale Italiana

Il custode (con Maria) del mistero di Nazareth

Pio IX lo ha dichiarato patrono della Chiesa universale, san Giovanni XXIII ha inserito il suo nome nel Canone romano e Papa Francesco in tutte le preghiere eucaristiche, oltre a dedicargli nel 2021 (fino al prossimo 8 dicembre) un Anno speciale. Accanto a Maria, san Giuseppe è il testimone dei primi passi del Dio-con-noi. Anche in tempi difficili “chi lo prende per guida non sbaglierà nel cammino” diceva santa Teresa d’Avila, che si rivolgeva a lui per ogni grazia. In un anno di separazione ci aiuta a contemplare la vicinanza dell’Incarnazione: Gesù vero Dio e vero uomo, mite e umile di cuore, che abbracciando la nostra quotidianità santificò tutte le azioni umane. Così le parole di beati e pontefici, di biblisti come padre Silvano Fausti e padre Tarcisio Stramare, ci avvicinano al mistero di Nazareth.
16 Febbraio 2021

a cura di TERESA CHIARI foto AGENZIA ROMANO SICILIANI/CREATIVE COMMONS

 

SAN GIUSEPPE, IL DONO DI SERVIRE
“Se san Giuseppe dovesse fare il suo biglietto da visita, potrebbe dire: ‘Padre di Gesù, sposo di Maria, figlio di Davide e giusto’. Sono quattro titoli che solo lui ha. Con quattro titoli cosi, cosa
vuoi di più? San Giuseppe è un protagonista del mistero dell’incarnazione, in vista della redenzione”.
La sintesi del teologo padre Tarcisio Stramare ci porta al cuore della figura del patriarca di Nazareth. Anche san Giovanni Paolo II ne aveva evidenziato il ruolo senza pari con l’esortazione apostolica Redemptoris custos (Custode del Redentore, 1989), inserendolo in un filone a lui caro, quello della redenzione, dopo la Redemptor hominis del ‘79 su Gesù, la Redemptoris Mater dell’87 su Maria e la Redemptoris missio del ‘90 sulla Chiesa. “Del divino mistero dell’incarnazione – scriveva Papa Wojtyła – Giuseppe è con Maria il primo depositario, sulla via della fede dove Maria ci precede in modo perfetto”. Da Giuseppe, chiamato a servire direttamente la persona e la missione di Gesù mediante la sua paternità, ognuno di noi può imparare l’apertura ai disegni di Dio più che ai propri. Ci mostra che una grande tenerezza non è la virtù del debole. “Quante volte avrà pronunciato nella sua vita il nome di Gesù, come pure quello di Maria! – ha scritto padre Stramare – Quanti insistono sul fatto che i Vangeli non ci riportano nessuna parola di san Giuseppe, non possono negargli di aver pronunciato almeno due parole, che sono proprio i nomi delle persone più grandi di questo mondo. Queste due parole hanno riempito il silenzio della sua vita”.

 

GIUSEPPE, NOSTRO PADRE NELLA FEDE
“Nelle vene di Gesù scorre il sangue dell’umanità” evidenziava il biblista padre Silvano Fausti commentando il capitolo 1 del Vangelo di Matteo, che si apre con le genealogie. E metteva in valore la figura di san Giuseppe, laddove l’evangelista enumera 14 generazioni da Abramo a Davide, 14 dall’esilio, 14 fino a Gesù. “In realtà le generazioni sono 13 da Abramo a Davide e 13 fino a Gesù – spiegava – Non viene detto chi ha generato Abramo, né chi Giuseppe genera. In questo modo Matteo indica come Dio entra nella storia: camminando con noi, nella trasmissione della vita.
Il punto di arrivo di tutta la storia umana è la comunione tra l’uomo e Dio in Gesù, generato dallo Spirito Santo, inserito perfettamente nel tessuto umano. Giuseppe entra in contatto con Gesù per mezzo di Maria: allo stesso modo noi riceviamo il Figlio da lei, che per prima ha accolto il dono assoluto”. Avere fede significa accettare il dono, ma in Giuseppe emergono le incertezze di ogni credente, il lungo cammino che deve fare per accogliere il Figlio dell’uomo e Figlio di Dio, nato da Maria.

“Il suo è il dramma di ogni giusto – spiegava padre Fausti – Non vuole più di quel che gli spetta: ‘è troppo grande, non e da me’. Perché quel che Dio ci dà è superiore a ogni nostra giustizia: è puro dono. Dobbiamo accogliere molto più di quanto possiamo fare o meritare, con l’apertura all’infinito di Maria. Matteo dunque ci fa entrare nel Vangelo con questa apertura d’animo ad accogliere l’impossibile, perché il dono che Dio ci dà è impossibile, è se stesso”. Dall’angelo udrà in sogno: ‘Giuseppe, figlio di Davide, non temere’.
La paura infatti fa fuggire da Dio e dal dono, e non viene mai dal Signore. “È come se l’angelo dicesse: Dio si vuol donare, non temere a prenderlo – concludeva padre Fausti – Immaginavi un Dio potente,  orgoglioso, quello non c’è. Prendi invece questo che ti viene da Maria, Lui vuole essere con te. Gli darai il nome, perché dare il nome è essere padre. Gesù è il nome stesso di Dio: ’Dio salva’. Salva dal peccato, cioè dal fallimento, dalla morte, dalla separazione dal Padre e dai fratelli. Giuseppe farà cosi, perfetto esecutore della Parola. Il silenzio di Maria e suo daranno la consistenza umana a Gesù”.

 

LA VITA NASCOSTA DI GESÙ

«Non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre mio?»

“Se non si è capaci di contemplare, non si troverà mai Nazareth, perché obbliga a contemplare molto a lungo” scriveva il beato Charles de Foucauld (1958-1916), che come pochi altri ha intuito la portata della spiritualità che emana dalla Sacra Famiglia. Come possiamo noi oggi meditare Nazareth?  “Incontrando Gesù nell’adorazione eucaristica -sperimentò il beato Charles– La sua ‘presenza’ ci santifica, silenziosa grandezza della Parola di Dio, del Verbo fatto uomo. L’esperienza di Lui ci trasforma in modo silenzioso, ci apre il cuore rendendolo più simile al Suo. Nazareth è l’adesione di Cristo alla vita quotidiana, aperto al dinamismo dello Spirito e a ciò che il Signore concede ogni giorno, per servirlo nei volti familiari, nel lavoro e in ogni creatura”.
Nazareth “non è il prologo della vita pubblica o solo il momento preparatorio della missione – ha indicato il teologo mons. Pierangelo Sequeri – È la vita di Gesù, non semplicemente la sua prefazione. È la missione redentrice in atto. È il lavoro, la vicinanza domestica del Figlio che si nutre per lunghissimi anni di ciò che sta a cuore a Dio”. Immerso nel Padre, Cristo ha condiviso con noi i luoghi oscuri, comuni dell’esistenza. “Qui tutto ha una voce  –disse Papa san Paolo VI, visitando in Terra Santa il piccolo paese della Galilea dove Cristo visse con Maria e Giuseppe – Tutto ha un significato”. F.G.