SERVIZIO PER LA PROMOZIONE DEL SOSTEGNO ECONOMICO ALLA CHIESA CATTOLICA
della Conferenza Episcopale Italiana

Quelle case accoglienti
dov’è sempre Natale

CASA ‘CUORE DI MARIA’ “QUI LE GIOVANI MAMME RITROVANO FORZA E UN POSTO NELLA SOCIETÀ” C’è un angolo quasi nascosto a Castel Gandolfo (Roma), dove la tenerezza di Dio si tocca con mano. È la casa-famiglia Cuore di Maria, retta dall’Opera Mater Dei, affacciata sul lago. «Qui è sempre Natale perché ogni giorno arriva la […]
2 Agosto 2017
CASA ‘CUORE DI MARIA’
“QUI LE GIOVANI MAMME RITROVANO FORZA E UN POSTO NELLA SOCIETÀ”

C’è un angolo quasi nascosto a Castel Gandolfo (Roma), dove la tenerezza di Dio si tocca con mano. È la casa-famiglia Cuore di Maria, retta dall’Opera Mater Dei, affacciata sul lago. «Qui è sempre Natale perché ogni giorno arriva la Provvidenza ad aiutarci» dice la superiora, suor Elvezia Furlan. L’Opera Mater Dei dal 1951 accoglie minori provenienti da famiglie disagiate, ma è nel 2000 che su indicazione dell’attuale cardinale vicario di Roma, Agostino Vallini, allora vescovo di Albano, le suore aprono le porte anche a ragazze che per mille difficoltà avevano inizialmente deciso di abortire.

«Ringrazio Dio quando vedo oggi il volto di queste donne dopo averle conosciute nella disperazione» aggiunge suor Elvezia. «Ritrovano serenità e forza accanto ai figli. Sono ragazze coraggiose, hanno affrontato dolori e maltrattamenti, meritano il rispetto di tutti». Circa sessanta giovani sono passate di qui. «La nostra opera è possibile grazie a chi firma l’8xmille, attraverso cui la nostra diocesi di Albano può destinarci 80 mila euro l‘anno” spiega suor Elvezia.

Lo spirito del dono sostiene la vita di questa casa. «Il nostro modello è Maria, maestra d’amore e di speranza, per meglio aiutare le giovani mamme a ritrovare un posto nella società per sé e i figli» aggiunge suor Maria de Lourdes. «Quando sono rimasta incinta, il mio compagno non ci ha voluto accettare» ricorda Alina, 30 anni. «Allora mia madre era malata e non poteva darmi aiuto. La seconda famiglia l’ho trovata qui. Mio figlio è nato e ho ripreso in mano la nostra vita». Arianna, 29 anni, una bambina di 5: «La comunità mi ha fatto crescere, oggi vorrei tanto ricambiare».

Daniela, 27 anni, con sua figlia qui ha trovato un tetto per due anni, ora ha un appartamento e un lavoro: «Ma torno spesso per dare una mano, il legame d’affetto tra noi in questa casa è forte, ha ridato radici alla mia vita». C.C.

 
COMUNITA’ “ROSA VIRGINIA”
NELL’EX OSPEDALE CIVILE CASA E LAVORO PER LE DONNE SOLE E MALTRATTATE

Susumelle, cannarìculi, pignolata, torrone. Una tavola di prelibatezze tipiche calabresi è la festa dell’accoglienza che le ragazze-madri della Comunità “Rosa Virginia” di Rossano Calabro (Cosenza) riservano agli ospiti per Natale. «Una piccola-grande opera che il Signore della vita ci ha affidato e che viene da Lui» disse all’inaugurazione nel 2009 l’arcivescovo di Rossano-Cariati mons. Santo Marcianò. Ex ospedale civile, fu ristrutturato dalla curia, anche con un contributo 8xmille di 180.400 euro.

Oggi un’ala accoglie 25 ragazze, un’altra il presidio Caritas e il Centro diocesano di Pastorale della vita, diretto da don Massimiliano Alesina. «Casa Virginia è unica nella sua tipologia sul territorio regionale, per il suo intento di unificare la pastorale diocesana, per la reale alternativa all’aborto che offre, fino al suo progetto formativo, medico e di orientamento al lavoro, soprattutto stagionale: dalla coltivazione di fragole, pesche, agrumi all’apicoltura, dalla lavorazione della liquirizia -di cui Rossano è una delle capitali italiane, con laboratori risalenti al ‘700 che producono la varietà più pura del mondo- fino al terzo settore».

Valentina, 29 anni, tre figli, ricorda: «Vengo da un passato di abusi da parte di un uomo violento, ma ricominciare è possibile. Grazie alla comunità di Rossano ho avuto anche l’affidamento del mio figlio più piccolo, potendo contare su un alloggio e un lavoro. E adesso cerco di ricambiare come volontaria qui».

Da un anno la casa è gestita dalle Suore Adoratrici del Sangue di Cristo, subentrate per motivi di anzianità alle Suore di Nostra Signora della carità del Buon Pastore, la cui fondatrice è la religiosa francese Rosa Virginia Pelletier.

«Rispondiamo ai bisogni del territorio, a forte presenza di immigrati rumeni, a rischio prostituzione, in un contesto sociale frammentato e macchiato dalla criminalità organizzata» spiega suor Carmelina, madre superiora. «Per le ragazze» aggiunge suor Teresa «abbiamo avviato laboratori artigianali di pasticceria, ricamo e bomboniere. Poi, grazie ai trenta volontari del Centro per la vita, ci finanziamo con raccolte fondi nelle scuole, mercatini di solidarietà, corsi di recupero scolastico e diplomi professionali. Viviamo con il solo sostegno della diocesi e dei benefattori». S.L.


CASE-FAMIGLIA

Le prime in Italia? Aperte da sacerdoti
Nel nostro Paese è possibile solo una stima di quanti minori vivano in strutture di accoglienza: tra residenti e temporanei, sarebbero circa 30 mila. Solo uno su 5 è affidato a coppie in attesa (oggi oltre 33 mila, secondo fonti Crc, sigla che raduna diverse associazioni per l’infanzia), una media tra le più basse d’Europa. Allontanati dai genitori o senza averli mai conosciuti, in media restano in casa famiglia un triennio, ma molti vi trascorrono l’intera vita fino all’uscita obbligatoria a 18 anni, perché spesso l’affido non arriva mai.
In crescita in Italia le ragazze madri (under 19), oggi pari al 2,1% del totale, con circa 10 mila bambini l’anno. La gravidanza precoce spesso le espone all’interruzione degli studi, alla dipendenza economica e affettiva da partner maltrattanti o assenti. Delle circa 1.800 case-famiglia totali, molte sono diocesane o religiose, e la rete di sostegno si estende alle madri adulte in difficoltà. A fondare la prima casa-famiglia in Italia fu un parroco: mons. Enrico Nardi (1916-2009) intuì il valore di piccole comunità d’accoglienza piuttosto che delle macroistituzioni.
E nel 1964 a Pian di Scò (Arezzo) creò il primo tetto, destinato a disabili, con i volontari della sua O.A.M.I. Lo stesso fece don Oreste Benzi a Coriano (Rimini) nel 1973 con la sua Associazione Giovanni XXIII ‘per dare una famiglia a chi non ce l’ha’. E per far sentire i fratelli non più assistiti, ma scelti e stimati. Maria Severini