«Quando la strada manca, inventala» diceva il fondatore degli Scout Robert Baden-Powell ai suoi lupetti ed esploratori. Ed è quello che è avvenuto 14 anni fa nella parrocchia di San Massimo Vescovo di Torino a Collegno, quando la diagnosi sconvolgente formulata a don Claudio Campa di esser stato colpito da una malattia degenerativa ha aperto le braccia di un’intera comunità agli ammalati.
«Esiste una testimonianza dei disabili all’interno della Chiesa: l’annuncio del Vangelo della gioia di essere chiamati figli di Dio, che si manifesta con chiarezza la domenica» dice oggi con il sorriso negli occhi. «C’è una forza vitale e comunicativa nelle liturgie cui partecipano i disabili, che diviene dono e testimonianza per tutta la comunità. Dei disabili è lo spazio del bello e della gioia. Dei disabili è lo spazio della liturgia».
Originario di Torino, classe 1961, don Claudio ha sempre respirato la fede in famiglia, insieme al fratello divenuto diacono permanente, ed è stato ordinato prete nel 1987. Dopo incarichi tra San Lorenzo e il Lingotto, è stato destinato nel 2006 alla vivace parrocchia di San Massimo a Collegno, animata da una pluralità di gruppi attivi nella carità, nella liturgia, nella catechesi. Nel 2008, durante la processione del Corpus Domini, un malore improvviso. Don Claudio cade a terra e pochi giorni dopo riceve l’esito degli esami: sclerosi multipla. «All’inizio ci sono state la paura e la tristezza. Ma poi ho intuito che non si trattava di chiedere la guarigione, da una malattia tra l’altro degenerativa, ma di darle un significato. Le nostre fragilità possono diventare feritoie dove passa la luce, un tabernacolo in cui parla Dio».
Così, racconta, lentamente si è fatta strada la speranza. «La mancanza di forze con cui mi muovevo apriva la strada ad una comprensione più profonda della vita. Mi avvicinava alle persone malate: eravamo accomunati dal dolore. Ed eravamo uniti ancora di più al Signore perché è proprio nella debolezza che si manifesta la forza di Dio: noi restiamo deboli, ma è il nostro alleato che con la sua potenza fa la differenza». Lui che è sempre stato uno sportivo ha lanciato la sfida di un pellegrinaggio in bicicletta a Santiago de Compostela: una pedalata con i parrocchiani di 738 chilometri che è stata «un cammino di conversione e di ricerca di senso da dare alla malattia».
Dal 2012 don Claudio si muove sulla sedia a rotelle e, oltre al parcheggio per disabili e alla rimozione delle barriere architettoniche, con la sua comunità ha iniziato ad abbattere anche le barriere invisibili: quelle che impediscono ai disabili e spesso ai loro familiari la partecipazione all’Eucarestia, la preghiera condivisa, la catechesi.
«Il ritrovarmi a tutti gli effetti tra i portatori di handicap mi ha stimolato ad una riflessione: come trasformare un problema in una risorsa?». Così la comunità si è stretta intorno al suo parroco: sono nate la commissione pastorale per la salute e la disabilità, la Charta di San Massimo, che è un tavolo di dialogo tra le parrocchie e il Comune, i sabati aggregativi con il pomeriggio di laboratori, la Messa e la cena. «Abbiamo promosso eventi di sensibilizzazione sulla disabilità cognitiva, sensitiva e motoria, il caffè Alzheimer e il “dopo di noi”. Ma soprattutto – ricorda – c’è il lavoro quotidiano con i ragazzi con disabilità che frequentano il catechismo, la Messa per i sordi con interprete LIS, gli scout, l’estate ragazzi, le “convivenze guidate” e le associazioni: quanti nomi, quanti volti, quante storie! Da quando sono sulla sedia a rotelle ci sono più carrozzine in chiesa e una persona anziana una volta mi ha detto: “quando sto male, penso a lei e mi faccio coraggio”».
Decine di disabili sono usciti dalle loro case e hanno iniziato a frequentare l’oratorio e le attività. «Il riscontro più bello che abbiamo dall’esterno – racconta Silvia Lova, capo scout e tra le più strette collaboratrici di don Claudio – è che chi arriva da fuori respira questa accoglienza e fraternità, e che qui la malattia e l’handicap è accolta come qualcosa di normale, che può far parte della vita dei singoli e delle famiglie».
La sfida resta per tutti passare dall’isolamento all’inclusione, dal disagio alla condivisione. «Mi piace pensare che quando mi avvicino ai ragazzi per la comunione – chiosa don Claudio – la mia carrozzina elevata sia sorretta dalle mani di Dio. Mani che ti avvolgono e ti custodiscono. Sento le mani del Signore come il mio rifugio, la mia forza, la mia sicurezza, la mia casa».
foto Cristian Gennari / Agenzia Romano Siciliani