di ELENA GATTONI CELLI foto di ARCIERI (AGENZIA ROMANO SICILIANI) / AGENZIA DIRE
L'istantanea più forte – quella creatura viva, all’improvviso – “rientra nei sentimenti non catalogabili”. Ma aprire una via di salvezza per il piccolo Luigi è stato invece un obiettivo costruito consapevolmente da don Antonio Ruccia e dai fedeli di San Giovanni Battista, nel quartiere Poggiofranco, a Bari. La culla termica, da loro installata nel 2014, “parla di una comunità che si mette in relazione con tutti – spiega il parroco – È un progetto di nuova evangelizzazione. È la Chiesa in uscita che Papa Francesco ci ha chiesto di testimoniare. E coinvolge ognuno di noi. Chi l’ha costruita e chi ne sente parlare. Perché a tutti cambia lo sguardo. Spezza i pregiudizi, interroga il cuore. La culla termica fa parte di quel ‘potere dei segni’, per dirla con don Tonino Bello, che attira dal momento in cui esiste. L’abbiamo voluto come un’alternativa alla globalizzazione che scarta e fa tacere sul nascere tutte le voci che possono levarsi contro lo spreco dei nostri giorni. Ci incoraggia a credere nella vita, dono da far fiorire”. Il bambino non è stato lasciato di notte, nonostante la culla funzioni 24 ore su 24, ma un quarto d’ora prima della Messa domenicale delle 8.30, per essere sicuri che fosse trovato subito. “Questa vicenda non solo ha suscitato un bene che ha oltrepassato i confini della parrocchia – prosegue don Antonio – Non solo ha incollato le persone alle tv per seguire la seconda vita del piccolo Luigi, abbandonato dai genitori con il biglietto ‘mamma e papà ti ameranno sempre’. Ma è arrivata oltre i confini nazionali: anche là dove spesso la vita vale più per la produttività che per le relazioni”. Quanto è costata la culla termica? “Ha avuto costi irrisori, compreso il prefabbricato a ridosso della chiesa. Tutto finanziato dalle casse parrocchiali. Il congegno è stato installato artigianalmente in modo che, in caso di utilizzo, squillasse il mio cellulare e si attivasse la filiera medica, come poi è avvenuto. L’abbiamo realizzata con il reparto di Neonatologia del Policlinico di Bari, che ha offerto l’incubatrice in disuso. Ed è lì che Luigi è stato curato in anonimato e gioiosamente accudito sotto la supervisione del primario Nicola Laforgia”. “Nonostante il desiderio diffuso di diventare genitori, con il Covid le nascite sono ai minimi In Italia” ha indicato Istat nel 2020, prevedendo 10 mila nati in meno. Una retromarcia ulteriore per un Paese da tempo in calo demografico, e che – secondo il Ministero della Salute – conta anche 9 aborti ogni ora (80 mila l’anno) e circa 300 neonati abbandonati (meno di uno su mille venuti al mondo, per la Società italiana di Neonatologia-Sin), soprattutto con il parto in anonimato, che destina i piccoli all’adozione, consentendo ripensamenti fino a 10 giorni dopo la nascita.
Secondo un report Sin 2020, alla base di una scelta così dolorosa, percorsa per il 37% da donne italiane, per metà under 30, ci sono il disagio psichico e sociale (37,5%), la paura di perdere il lavoro o difficoltà economiche (19,6%), ma anche la salute e le disabilità del nascituro.
Oggi sono circa 60 le culle termiche in Italia, in 16 Regioni, aperte in chiese, Centri aiuto alla vita e ospedali (dal Policlinico Federico II di Napoli al Careggi di Firenze). “Come Chiesa dovremmo impegnarci accanto alle famiglie, per far uscire i tanti che oggi si chiudono alla vita dalle fobie verso un bambino che nasce – spiega don Ruccia – Bisogna lavorare non per una Chiesa delle restrizioni, ma per una Chiesa delle innovazioni perché ogni bimbo si ha abbracciato. La vicenda di Luigi mostra che la storia della salvezza continua tuttora. Perché non pensare che il piccolo di Bari sia una proposta per tutti? Più che a sopprimere, lui ci insegna che è necessario ricominciare, che – come per Gesù – proprio la pietra scartata è l’inizio della rinascita. D’altronde Mosè non è forse un avanzo di un popolo? E la storia biblica di Rut che riesce a far rinascere la sua famiglia spigolando tra il grano già mietuto? Non è più l’ora delle crociate – prosegue il sacerdote – È l’ora di una Chiesa delle proposte che non si spegne anche quando i riflettori sono stati smontati. Il bimbo è l’icona più bella della rinascita dopo la pandemia”. Tutto il quartiere si è mobilitato per Luigi e in suo nome ha dato il via a nuovi progetti: “Il nostro pensiero è al dramma dei genitori. Perciò le porte della parrocchia saranno sempre spalancate per tutti i bambini. Per questo lavoriamo a proposte di ‘affido e accoglienza’ dei ragazzi meno fortunati della città, e di famiglie in difficoltà verso la vita nascente”. Non vivremo quest’anno un Natale come gli altri: “anche se spesso lo riduciamo ad una semplice rievocazione, Natale è sempre una ‘pro-vocazione’.
Vorrei che questo fosse il Natale della “con-vocazione”, una chiamata collettiva alla vita, che nonostante l’angoscia per la pandemia ci veda tutti impegnati a dare un futuro di pace ai bambini vittime di violenze, a quelli armati, ai più soli, agli abbandonati e a quelli confezionati delle città del primo mondo, per affermare invece che solo credendo nella vita il mondo può rinascere – conclude don Antonio – Di fronte alle divisioni e ai nazionalismi, è tempo di smantellare tutto ciò che ostacola quella pace che gli angeli hanno annunziato nella notte di oltre 2000 anni fa, e di realizzare progetti contro le povertà. Luigi mi ha dato un senso di paternità che non mi era mai capitato prima. La mia vita è legata alla sua per sempre. Anche se non so dov’è, non dimenticherò mai che Luigi, quando l’ho preso fra le braccia, ha smesso di piangere. Un giorno non tanto lontano sono convinto che lo riabbraccerò perché anche quando un padre lascia partire un figlio, è sicuro che prima o poi tornerà”.