SERVIZIO PER LA PROMOZIONE DEL SOSTEGNO ECONOMICO ALLA CHIESA CATTOLICA
della Conferenza Episcopale Italiana

Quando amare fa rima con scavare (pozzi)

14 Giugno 2021

di ERMANNO GIUCA foto gentilmente concesse da  don Pietro e don Lucio

Si chiamano fidei donum (in latino “dono di fede”), sacerdoti che le diocesi italiane inviano ogni anno in terra di missione. Dall’Italia ne sono partiti circa 400. Tra questi c’è don Pietro Parzani, 36 anni e originario di Brescia, che nel 2018 viene prestato alla Diocesi di Inhambane, nel sud Mozambico. Oggi è parroco a Mapihnane e guida i giovani seminaristi durante il loro anno propedeutico. «È sempre stato un mio desiderio vivere un’esperienza missionaria – racconta il sacerdote – così appena il vescovo di Brescia mi ha convocato, ho subito accettato. Ho accolto questa missione con entusiasmo e desiderio. Arrivato sul posto, però, mi sono accorto che non è sempre facile passare dalle priorità di una parrocchia italiana alle difficoltà di un contesto segnato da profonde povertà. Resta il fatto che arrivi in una Chiesa che ha già la sua storia e tu sei chiamato solo a servirla».
Quello del Mozambico è un popolo che ha molto sofferto, colonizzato fino al 1975 e reduce da una guerra durata trent’anni, in una terra ricchissima di materie prime. Don Pietro e la sua comunità devono scontrarsi ogni giorno con diverse emergenze, tra cui la più importante è quella idrica. «Qui a Mapihnane non ci sono molti fiumi e l’Oceano è distante circa 50 chilometri. Per noi italiani sembra impensabile non avere l’acqua corrente in casa, qui invece è normale che la gente percorra grandi distanze ogni giorno per rifornirsi di questo bene essenziale. Fare pozzi con pompe automatiche non conviene perché i cittadini non potrebbero pagare il carburante per alimentare i generatori e anche l’utilizzo dei pannelli solari è sconsigliato perché potrebbero essere rubati. L’unica soluzione è quella di investire sulle pompe manuali».

La cattiva gestione dei beni pubblici, però, non risparmia i pozzi e la loro manutenzione.  «L’urgenza qui non è solo quella di scavare nuove fonti d’acqua – prosegue don Pietro – ma anche di prendersene cura dopo. Per questo qui l’acqua si vende ad un prezzo simbolico di 2 metical (0,028 centesimi di euro). Può sembrare una formalità però questa modalità li aiuta a dar più valore a questo bene, e permette loro di accantonare una somma che li aiuterà a riparare la pompa in caso di danni».
Dall’altra parte della costa africana, in Guinea Bissau, da 14 anni porta avanti la sua missione di fidei donum don Lucio Brentegani, proveniente dalla diocesi di Verona. A Bafatà ha ricoperto diversi incarichi tra cui la direzione della Caritas diocesana, in prima linea nel fronteggiare le emergenze sanitarie.
La Guinea Bissau è uno dei paesi più poveri al mondo, dove malattie infettive come l’ebola, il morbillo o la diarrea uccidono molte madri insieme ai loro neonati. «Assistiamo le madri in gravidanza e i loro figli fino ai primi i primi 2 anni di vita del bambino – dice don Lucio –. Qui, quando una madre muore durante il parto, mette a rischio anche il suo bambino: la carenza di latte materno, infatti, deve essere compensata con del latte in polvere unito alla nostra acqua. Quest’ultima, non sempre è potabile, e ciò può innescare un’infezione in poco tempo».

A Bafatà le piogge durano soli 5 mesi lasciando per buona parte dell’anno campi aridi e frequente carenza di acqua. «Pur essendoci diversi pozzi questi non vengono sempre gestiti con cura, perché la gente del posto non se ne sente responsabile. Recentemente ho chiesto un preventivo ad un tecnico della zona perché su 25 pompe manuali presenti nel distretto, 20 erano rotte e quindi bloccate. Siamo riusciti a farle riparare tutte con un intervento di soli mille euro (quando per aprire un nuovo pozzo servono tra i cinque e i diecimila euro). Sono situazioni che provocano rabbia ma poi comprendi che la vera urgenza è quella di educare le persone a un nuovo modo di pensare».
Il volto della Chiesa in uscita, in Mozambico come in Guinea, diventa acqua buona da bere e amore per la propria gente e la propria terra. Ma soprattutto capacità di dire “tocca a me”, se c’è da curare quell’angolo di mondo che ci è stato affidato.