Negli anni 50, quandero bambino, era ancora naturale trasmettere la fede ai più piccoli.
I primi ricordi dei sacerdoti nella mia infanzia sono quelli dei parroci che andavano in giro in bicicletta, che dinverno raggiungevano le cascine isolate come quella di mia nonna nelle campagne di Asti, per incontrare gli anziani e portare la Comunione agli ammalati. Poi la Messa di mezzanotte sotto la neve, le Messe infarcite di latino e le sonorità dellorgano. Era il mondo dei cattolici di ieri.
Oggi ad alcuni potrebbe sembrare un mondo un po ingenuo. Eppure a distanza di anni la fede che ho conosciuto e a cui sono rimasto legato era quella delle menti e dei cuori: una fede autentica, per alcuni superata, ma fatta di cose fragili e preziose.
Non cè dubbio che per chi, come me, ha scelto il mestiere di attraversare il mondo per raccontarlo, sia naturale la tensione fra la concezione cristiana della vita ed il pianeta corroso dal Male assoluto che ci troviamo a descrivere nelle guerre, nelle miserie, nelle ingiustizie. Il racconto di quella realtà è automaticamente filtrato da quellattenzione agli altri, dalla sacralità della vita umana e dalla condivisione, che sono poi tre aspetti del problema religioso e, direi, della concezione morale della mia professione.
Dopo tanti anni resto convinto che per un giornalista ciò che vale la pena raccontare è la sofferenza umana: un grande tesoro, ed un tramite per incontrare Dio. Senza la sofferenza, chi si occuperebbe di Dio? Io penso che sia un potente richiamo con cui Dio cerca di restare unito a coloro che ha creato, una disperata richiesta di non lasciarlo solo. Perché ha capito che noi abbiamo bisogno proprio di questo: dobbiamo chiedergli qualcosa per rimanere con Lui.
Paragonata alle immani sofferenze affrontate da tante altre persone, il mio sequestro di 5 mesi in Siria non è che una piccola vicenda. Eppure senza la certezza della presenza silenziosa di Dio lì con me, a fare da antidoto alla solitudine e alla disperazione, non ce lavrei mai fatta a non perdere la ragione e la capacità di attendere. Chi pensa di non credere trova tutto questo abbastanza privo di senso: ma io penso che non si possa attraversare unesperienza del genere senza il rumore permanente della presenza di Dio, una presenza decisiva.
Nei miei viaggi ho visto il martirio, sì. Oltre ai martiri uccisi nei primi secoli della Chiesa, oggi esiste anche un martirio dello spirito che si consuma nel silenzio generale: basta prendere un aereo e scendere a Erbil, in Iraq, per incontrare i martiri del XXI secolo.
Anche dover lasciare tutto e andarsene dal proprio Paese solo perché si è cristiani è martirio. Bisogna dilatare lestensione della parola. Non ci sono solo larena e il leone, i gulag o i campi di sterminio: anche lesclusione, la fuga, lo sradicamento sono martirio. Anche in questi casi, oggi come ieri, il martire è solo col suo Dio, solo Lui.
40 ANNI DI STORIA
Nello sguardo di un reporter nato
Domenico Quirico (Asti, 1951) è inviato di guerra del quotidiano La Stampa. Entrò in redazione nel 1980, laureato in giurisprudenza, per poi divenire caposervizio Esteri e corrispondente da Parigi. Negli anni ha raccontato il Sudan, il Darfur, la carestia e i campi profughi nel Corno dAfrica, ha seguito le Primavere Arabe e la fine del regime di Gheddafi in Libia, la guerra in Mali e la dissoluzione della Somalia, fino ad inchieste senza paragoni sulle tratte dei migranti nel Mediterraneo.
Dal 9 aprile all8 settembre 2013 è stato sequestrato in Siria insieme al collega belga Pierre Piccinin: una drammatica esperienza ripercorsa nel libro Il paese del male. 152 giorni in ostaggio in Siria (Neri Pozza, 2013). Tra le altre opere, Generali (Mondadori 2007) e Il Grande Califfato (Premio Brancati 2015). Appassionato di storia africana, ama le maratone. Sposato, ha due figlie. M.B.