A cura di CHERUBINO ROSSI
foto AGENZIA ROMANO SICILIANI/CREATIVE COMMONS
La misericordia non avrà mai fine indicava San Paolo (1 Cor 13,1-12). Che cosa porteremo con noi di questo Anno Santo, periodo di grazia da cogliere senza indugio? La misericordia è credere fermamente nellamore del Padre, vivendo da figli e da fratelli. Ma Dio dovè nel mondo? Spesso non sembra presente. Eppure cè un luogo dove si fa trovare spiegava il grande biblista, padre Silvano Fausti (1940-2015), uno degli autori più letti e influenti del pensiero cristiano contemporaneo, confessore del cardinale Martini, scomparso poco più di un anno fa e a lungo promotore di lectio settimanali nella parrocchia di San Fedele, a Milano (da ascoltare sul sito www.gesuiti-villapizzone.it/sito/lectio/vangeli.html).
Padre Fausti apriva il passo del Vangelo di Marco (Mc 6, 45-52) in cui dopo la moltiplicazione dei pani, Gesù ordina ai discepoli di imbarcarsi per Betsaida, mentre lui sale sul monte a pregare. Fattasi sera la barca era in mezzo al mare e lui solo sulla terra. Vedendoli provati nel remare, infatti il vento era loro contrario, sulla quarta veglia della notte viene verso di loro camminando sul mare e voleva oltrepassarli. Essi pensarono che era un fantasma e alzarono un grido. Tutti infatti lo videro e furono turbati.
Egli disse subito: Coraggio, Io sono. Non temete. E salito che fu sulla barca, cadde il vento. Essi rimasero oltremodo stupiti, infatti non avevano capito il fatto dei pani, perché il loro cuore era indurito. Dunque spiegava padre Fausti la condizione dei discepoli è simile alla nostra oggi: da soli sulla barca, simbolo della Chiesa, in mezzo alle difficoltà e Gesù non cè. Che cosa centra l'episodio dei pani con il rischio di affondare? La moltiplicazione dei pani è il concreto amore fraterno, la condivisione, che ci permette di fare la traversata della vita: la barca, la notte, il mare, la tempesta, la fatica, il vento contrario, il terrore e l'illusione dei fantasmi, poi la calma e l'approdo sono tutte metafore dell'esistenza. Dobbiamo fare una traversata piena di difficoltà, sospesi nella notte tra la terra e il cielo, con l'abisso sotto, preda della morte.
In che modo arrivare all'altra riva, come Gesù ci ha ordinato? Proprio al termine della notte, dopo le 5 del mattino, quando non sono neppure più lucidi ma disperati, i discepoli vedono uno camminare sulle acque, simbolo del grande desiderio dell'uomo di vincere la morte. Il Signore ci cammina sopra, la calpesta – indicava padre Fausti – Loro gridano di spavento, certi che sia uno spettro, non la realtà. I discepoli cioè non credono che sia possibile vincere la tempesta, né la morte. Che Lui che le ha vinte sia un'illusione e reali le loro paure. Coraggio, Io sono. Non temete ci dice.
La prima parola di Gesù è coraggio, perché la paura è mancanza di fede. E aggiunge Io sono, che è il nome di Dio. Sale con loro sulla barca e cade il vento. L'evangelista annota: Essi rimasero oltremodo stupiti, infatti non avevano capito il fatto dei pani, perché il loro cuore era indurito. Il pane di cui abbiamo bisogno, capace di vincere le paure e sedare le tempeste, è Io Sono. Il nostro amore fraterno è la presenza di Dio in questo mondo, fortissima, che vince ogni male e la morte. Siamo noi gli increduli di fronte alla realtà di Dio.
Concludeva il biblista: A noi l'amore fraterno sembra una piccola cosa, ma non è così. È davvero potenza di Dio che salva il mondo. Restiamo preda delle tempeste perché appesantiamo il cuore con altre illusioni. Per non indurire il cuore dobbiamo invece ricordare il suo amore con l'Eucaristia: Dio si fa pane per noi e ci insegna a vivere in comunione, da fratelli. Il ricordo della storia comune con Dio, attraverso la Parola e i sacramenti, ci fa palpitare il cuore e ci insegna a vivere. Se uno mi ama, io e il Padre verremo a lui (Gv 14,23). Tutto il resto non ci salva e ci fa perdere.
Chi ci dona l'Eucaristia è il sacerdote, segno della misericordia di Dio fra gli uomini. I presbiteri sono chiamati per primi a non distogliere lo sguardo dalle tante povertà dell'uomo, come ha chiesto Papa Francesco.
Che in una catechesi dello scorso settembre aveva chiarito: Avere davanti Dio come misericordioso, ci consente di capire meglio la sua perfezione. Quella a cui Gesù ci chiama: Siate perfetti comè perfetto il Padre mio. Nella storia della salvezza tutta la rivelazione di Dio è un Amore che non ha misura, rispetto a cui il nostro amore sarà sempre in difetto. Ma Gesù chiede ai suoi discepoli di diventare segno, canale, testimoni della Sua misericordia.
E la Chiesa non può che essere sacramento della misericordia di Dio nel mondo. Ben oltre il tempo giubilare, già dal prossimo Natale, in cui misericordia e verità si incontreranno (salmo 85,11) nel Dio incarnato. Ricordando che misericordia in ebraico è rahamin, ossia grembo, viscere materne, Papa Francesco ha indicato nella bolla d'indizione giubilare Misericordiae Vultus che il nostro cammino può essere solo con Maria.