di LUCIANA SAVIGNANO danzatrice classica
testi a cura di CLAUDIA BELLEFFI foto ANGELO REDAELLI
Ho vissuto in palcoscenico esprimendomi con la danza, ma resto una persona riservata, parlare della mia fede non è semplice. Se è cresciuta su solide radici lo devo ai miei genitori: mia madre, che mi sosteneva con il suo affetto, aveva una spiritualità incredibile. E così mio padre: frequentava assiduamente la chiesa ed era impegnato nell’Azione cattolica. Ottico di professione, era generoso e romantico. Lui mi ha trasmesso il senso del sacro, che poi ho coltivato anche in scena. E’ l’esigenza di non allontanarmi mai dall’essenzialità della vita e di dare un mio contributo a questo mondo.
La mia scoperta della danza è arrivata prestissimo: a dieci anni ho superato l’esame di ammissione alla Scuola di ballo del Teatro alla Scala di Milano e da allora tutto per me si è giocato in quest’ambiente. Non amo parlare di carriera: l’importante non è arrivare, ma essere. Ho accettato sfide sempre nuove, coltivando non una danza che dovesse stupire, ma che nascesse dall’anima, emozionando con un gesto non con le acrobazie. Danzare è un’arte inafferrabile, dura un istante, ma ci trasporta in alto. Certo quest’esistenza in giro per il mondo mi ha impedito di avere una vita religiosa tradizionale: dalla frequentazione assidua di una comunità parrocchiale fino ad un sacerdote di riferimento.
La mia fede così è stata da subito personale, slegata dalla vita comunitaria. Però ha sempre fatto parte di me: riconoscibile e accesa. Dio abita in ciascuno di noi. Ci fa capire che la vita non ci è stata data per caso, e i sacerdoti sono figure preziose perché illuminano questo dono. Papa Francesco, con le sue parole e la sua testimonianza, ne è un esempio.
Di me stessa posso dire che prego tutti i giorni e molte ore al giorno. Anche nella danza, perché fin dall’antichità è un rito sacro, una forma di preghiera. E’ il mio modo di lodare e avvicinarmi a Dio, di celebrarlo. Certo la prima esigenza della fede, sui passi del Signore, è agire con amore verso il prossimo. E per me ha significato mettermi accanto a chi è in difficoltà, senza tanti proclami.
UN'ICONA DEL NOVECENTO
Tre le “fortune” che hanno fatto di Luciana Savignano una delle divine del balletto contemporaneo. La prima è (parole sue) un corpo “un po’ dinoccolato”, inedito per ogni stereotipo di danzatrice classica. La seconda è essere nata a Milano (nel 1943) con la Scala a portata di mano. La terza è un padre melomane che fin da bambina la portava con sé a teatro. E fu proprio l’aver assistito con lui al Lago dei cigni a farle decidere quale strada percorrere. Si forma all’Accademia scaligera, poi al Bolshoi di Mosca. Nel 1968 il primo ruolo da solista (per il Mandarino meraviglioso di Bartòk). Nel 1972 è prima ballerina della Scala. Oltre al repertorio classico, vengono create per lei coreografie replicate in tutto il mondo, dal Bolero di Ravel firmato Béjart all’Orfeo di Stravinskij secondo Micha Van Hoecke. Con il suo magnetismo ha rivoluzionato l’estetica della danza. Ha detto: “Senza presunzione, vorrei fare qualcosa di nuovo a ogni spettacolo”. Nel 2018 ha ballato ancora Debussy al Conservatorio di Milano. Sempre vicina ai giovani allievi, fuori scena si è impegnata anche a fianco dei malati di Parkinson.
Laura Novelli