di GIORGETTO GIUGIARO designer industriale
testi a cura di MANUELA BORRACCINO foto ALBERTO PEROLI per ITALDESIGN
Sarà come nel dopoguerra: tutto da ricostruire, da ripensare. Con la differenza che negli anni ’50, specie quelli come me nati nei piccoli borghi come Garessio, eravamo abituati ad una vita semplice e qualsiasi conquista era un miglioramento delle condizioni di vita precedenti, mentre le giovani generazioni di oggi che dovranno inventare nuovi modi di lavorare e produrre hanno conosciuto il benessere e il comfort. Ed ora la pandemia, oltre a gravi perdite umane, ci ha portato ad un impoverimento. Come avverrà la ripartenza? È molto difficile fare previsioni. Ma
spero che questa crisi porti a riscoprire che le vere fonti di valore per le nostre vite sono le relazioni umane e quelle con l’ambiente: non siamo solo individui e consumatori, ma persone interdipendenti con gli altri e con il territorio. Tale è stata per me l’ininterrotta relazione con la mia comunità di origine di Garessio, un paese di 3 mila anime fra Cuneo e Imperia, sulle cui montagne mi diverto ogni domenica ad andare in trial. Arrivai a Torino a 14 anni, nel 1952: volevo andare all’Accademia di Belle Arti poiché
tutta la mia famiglia, dal mio bisnonno a mio padre, proveniva dal mondo della pittura e del disegno: una dinastia di artisti musicisti in un paese in cui c’erano più chiese che case, patria di uno scultore di fama internazionale come Giuseppe Penone, dove l’oratorio era il luogo del cinematografo, del gioco, dello stare insieme e dove il parroco era leader della comunità. Con il grande quadro del Mortorio che ho dipinto per i miei 80 anni a Garessio per la nostra chiesa di San Giovanni, ho voluto rendere omaggio alla memoria collettiva, e far conoscere a chi arriva questa rappresentazione sacra che celebra il connubio fra fede, arte, musica, scenografia.
Avevo 3 anni quando mio nonno iniziò a farmi giocare a passare gli spilli sopra le linee dei suoi disegni: dal Rinascimento è il primo passo per la campitura degli affreschi.
Quando mi trasferii a Torino non sognavo l’automobile. Sono arrivato quasi per caso alla progettazione tecnica: entrai diciassettenne nel Centro Stile Fiat come apprendista designer. Nel 1959 ero alla Carrozzeria Bertone e l’anno dopo, a 22 anni, disegnai la prima Alfa Romeo Sprint. E poi l’Iso Grifo coupé, la Fiat 850 spider e la Mazda Luce 1500/1800. Tra il 1965 e il 1967, anni nei quali visitai per la prima volta il Giappone, disegnai la Maserati Ghibli, la De Tomaso Mangusta e prototipi come la Fiat 850 Vanessa. Fino a fondare nel 1968 con Aldo Mantovani la Italdesign.
Come si coglie il gusto di un’epoca? Al successo si arriva per un training lunghissimo: in nessuna professione ben riuscita ci si improvvisa. Ad un giovane non posso che consigliare di studiare il più possibile. Si osserva quello che c’è sul mercato, si apprende a riprodurre l’esistente, nasce il desiderio di fare qualcosa di diverso: più sportivo, o più funzionale. Con il tempo e l’esperienza si impara a dare nuova forma alla bellezza, come avviene per la bellezza delle donne, che con il passare degli anni cambia impercettibilmente, nei dettagli e nei lineamenti. Penso che il comune denominatore del mio lavoro sia stato la ricerca dell’equilibrio tra le proporzioni, la semplicità e la funzionalità.
Certo i prodotti devono portare alle aziende risultati economici, ma oggi più che mai la creatività è a rischio di venire asservita da parte di chi ha le leve dell’economia. In Italia abbiamo avuto la fortuna di avere dei grandi creativi, artigiani diventati industriali, come Enzo Ferrari, Nuccio Bertone, Sergio Pininfarina: rispetto alla Germania, abbiamo avuto il vantaggio di offrire un’alternativa più edonistica dei prodotti di massa. E l’Italia ha portato avanti a lungo queste produzioni di nicchia perché c’era un artigianato così abile e capace da rimanere sul mercato con prodotti quasi personalizzati e relativamente economici. Anche oggi le nostre piccole e medie imprese, insieme alla riscoperta dei borghi e della terra, potranno essere punti di forza per superare la crisi causata dal Covid-19.
UNA LEGGENDA DEL MADE IN ITALY
«La mia strada disegnata con la matita»
È stato dichiarato nel 1999 “car designer del secolo”, ma lui si definisce “un manovale della matita”. Classe 1938, nato a Garessio (Cuneo), Giorgetto Giugiaro dal 1959 ha calcato le scene dell’industria automobilistica e poi dell’oggettistica (suo, fra gli altri, il telefono fisso Sirio entrato in tutte le case) fino a divenire icona del made in Italy. Ha firmato decine di vetture, dalla Golf alla Panda, e beni di consumo progettati con la sua Italdesign (oggi è presidente di GFG Style guidata dal figlio Fabrizio). Il suo stile gli è valso 7 lauree ad honorem e 5 premi Compasso d’Oro. M.B.