SERVIZIO PER LA PROMOZIONE DEL SOSTEGNO ECONOMICO ALLA CHIESA CATTOLICA
della Conferenza Episcopale Italiana

DOSSIER >> Anno della fede (11 ottobre 2012 – 24 novembre 2013)

Lassù, in alto, dove Dio si è rivelato agli uominiMetafora della fede più salda, i monti nella Scrittura sono luogo di prova, di preghiera e dell’incontro con Dio. Nell’Antico Testamento il Signore è invocato come ‘rupe e redentore’. Mentre nei Vangeli Gesù è rappresentato in luoghi elevati quando mostra il suo volto divino: trasfigurato sul […]
2 Agosto 2017

Lassù, in alto, dove Dio si è rivelato agli uomini

Metafora della fede più salda, i monti nella Scrittura sono luogo di prova, di preghiera e dell’incontro con Dio. Nell’Antico Testamento il Signore è invocato come ‘rupe e redentore’. Mentre nei Vangeli Gesù è rappresentato in luoghi elevati quando mostra il suo volto divino: trasfigurato sul Tabor, maestro sul monte delle Beatitudini, fino al sacrificio sul Golgota.
 
Nel Nuovo come nell’Antico Testamento le alture sono teatro di avvenimenti centrali. Il monte Ararat accoglie l’arca di Noé dopo il diluvio universale, è sul Moriah che Abramo offre in sacrificio suo figlio Isacco, e su un monte che Lot fugge per salvarsi dalla distruzione di Sodoma.
 
Il massiccio del Sinai, anche indicato con il nome di una sua cima, l’Oreb, assolve poi al ruolo di congiunzione tra umano e divino. È lì che Dio si rivela a Mosè nel roveto ardente, che stipula l’alleanza con Israele e consegna i comandamenti. È il luogo scelto dal  Signore per rivelarsi al suo popolo attraverso il profeta e nella teofania il Sinai è parte dell’immagine maestosa e inaccessibile del Divino.
 
Tra tuoni, lampi e nubi nere, la montagna è fumante perché su di essa «era sceso il Signore nel fuoco» e «tutto il monte tremava molto». Opposto è invece il modo in cui Dio si manifesta a Elia sull’Oreb nel primo Libro dei Re. Stavolta il Signore non è né nel vento che spezza le rocce; né nel terremoto; né nel fuoco. È nel «sussurro di una brezza leggera», ad evocare una presenza dolce, ineffabile, al di là della forza e della materialità degli elementi. Nei Vangeli le alture continuano ad evocare il tema dell’incontro con il Creatore e sono ancora il luogo dove viene trasmessa la Legge.
 
Non più da Dio attraverso Mosè, ma da Gesù stesso. Nel Discorso della Montagna, Gesù si rivolge ad una folla immensa. Il monte è qui cornice del primo grande sermone di Cristo, in cui insegna agli uomini la preghiera del Padre Nostro e che cosa significa essere figli e figlie di Dio. Nelle Beatitudini trasmette i principi essenziali per la vera felicità, la strada per il Regno di Dio. Le montagne scandiscono in più momenti la vita di Gesù: spesso vi si ritira per pregare, lì è messo alla prova dal demonio.
 
È sul Monte degli ulivi che prova una paura umana di fronte alla morte ed è su un’altura, il Golgota, che viene crocifisso portando su di sé il peccato e la sofferenza del mondo. Perfino la Trasfigurazione avviene su un «alto monte» -tradizionalmente identificato con il Tabor- dove Cristo lascia trasparire la sua gloria mentre il Padre fa udire la sua voce.
 

 
INTERVISTA A DON MARCO CAIROLI *
* docente di Introduzione al Nuovo Testamento presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, a Milano 

«Chi ha fede vince la paura,
Dio è la roccia della nostra vita»

Che cosa suggerisce alla nostra fede, che in quest’Anno speciale siamo impegnati a riscoprire, che la Scrittura parli di Dio con l’immagine della roccia?
 
La metafora di Dio «nostra rupe» indica solidità, una realtà che resiste al tempo, a cui ci si può appoggiare perché affidabile. La fede biblica si configura come la decisione di appoggiarsi alla roccia per avere stabilità.
 
Nel Nuovo Testamento la fede è spesso associata alla conversione. Come la prima parola di Gesù, in Marco (1,15): «Convertitevi e credete al Vangelo».
 
Il tema della fede nei Vangeli ha molte sfumature. Di questa in particolare, fede e conversione, potremmo dire: convertitevi, cioè credete al Vangelo. La fede è lo stato di perenne conversione. Perché tutti siamo chiamati a fidarci del Figlio di Dio fatto uomo, mentre si rivela in una debolezza che ci affascina, ci sorprende. La fede si gioca sulla capacità di affidarsi a un Messia debole per amore.
 
Ma i discepoli non sempre ci riescono.
 
Gli evangelisti mettono in risalto la fatica di credere. E’ un tratto umano, in fondo molto consolante. Credere non è stato facile neppure per quelli della prima ora.
 
Di qui il rimprovero agli «uomini di poca fede», tema a cui lei ha dedicato un suo saggio (La poca fede nel Vangelo di Matteo, Analecta, 2005).
 
L’espressione di Gesù «uomo di poca fede!» è custodita – nella sua materialità – quasi solo nel Vangelo di Matteo. La fede del discepolo è poca perché non è capace di scorgere accanto a sé la presenza costante e vitale di Gesù come l’Emmanuele, il Dio-con-noi. Ed è poca nelle situazioni critiche della vita, come durante la tempesta sedata.
 
In quel passo (Mc 4,40) Gesù dice: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Che dire di fede e paura?
 
Sono in antitesi: chi ha fede, non teme; chi teme, è uomo di poca fede. Perché la paura blocca, irrigidisce, impedisce di alzare lo sguardo e di incrociare quello del Salvatore. Certo, un po’ di paura ci accompagnerà sempre. Ma, come nell’espressione di Martin Luther King, ormai proverbiale, «quando la paura bussa alla porta, manda la fede ad aprire. Non ci troverà nessuno».
 
Come liberarci dalla paura, ossia dalla poca fede?
 
Non pretendo di avere ricette. Guardo però alla vita dei santi. All’importanza di vivere la fede in una comunità (la Chiesa) perché non si è mai credenti da soli. Alla lettura del Vangelo, per farla crescere con la conoscenza. E infine all’esperienza così personale della preghiera. Ciascuno troverà la sua strada. La fede non è mai una fermata, semmai è un via.
 
Gesù parla anche di una fede capace di spostare le montagne (Mt 17,20).
 
Diceva il mio maestro Bruno Maggioni, «sembra una contraddizione: Gesù rimprovera i suoi discepoli per la loro poca fede e poi dice che ne basta poca, quanto un granellino di senapa. Ma nel linguaggio evangelico «poca fede» non designa la quantità quanto piuttosto la qualità. Fede è ritenere possibile anche ciò che all’uomo pare impossibile. Nessuna situazione è irrimediabile di fronte alla potenza di Dio». Pensiamo all’esistenza di tanti testimoni della fede. Che hanno spostato montagne con una vita luminosa.
 
Maria Rossi
 

 
LE MEDITAZIONI DEL GRANDE BIBLISTA (1927-2012)

Martini, «quelle parole amate anche dai non cristiani»
(tratto da Carlo Maria Martini, Il discorso della montagna, Mondadori 2006)

La porta sul Discorso della montagna (Mt 5-7) sono le Beatitudini. È la regola dei cristiani, esigentissima, sconcertante per molti aspetti. Ed è tra le poche pagine note anche ai non cristiani (tra i tanti, Gandhi). Non è rivolto genericamente all’umanità. Gesù qui istruisce chi ha accolto le sue parole seguendolo.
 
Solo costoro possono capire pienamente il Discorso, anche se in esso vibrano accenti capaci di toccare il cuore di ogni uomo. Se uno non è discepolo, può considerarlo troppo duro. Chi ha scelto Gesù come amore unico lo capirà. In esso non si spiega che cos’è il regno, ma di chi è il regno di Dio. È un processo di rigenerazione all’interno dell’uomo. È una realtà immensa, che muove l’universo, è in divenire.
 
Si compie già in noi e insieme è avversata da innumerevoli forze negative. Contempliamolo nel silenzio Gesù, mentre ci parla e, seduto sul monte, ci ammaestra, e chiediamoci: credo a questo Regno e alla sua giustizia? Lo cerco veramente? La mia vita è davvero dedicata, come quella di Gesù, ad esso? Nelle Beatitudini sono detti «felici» per otto volte coloro che vivono le caratteristiche del Regno: i poveri, i miti, gli umili, i disprezzati.
 
È importante leggerle in senso un po’ esclusivo: sono gli unici felici, solo di essi è il Regno dei cieli, solo loro troveranno misericordia. L’avvento di Gesù è un modo di essere per cui l’uomo, meschino e curvo su di sé, viene trasformato in un uomo che sta in piedi, col capo levato guarda al cielo e vede tutto sub specie aeternitatis. Le Beatitudini sono l’esplosione di gioia di chi ha scoperto la forza trasformante dello sguardo di Dio.