«Ho fame, non mangio da tre giorni. Per favore, hai qualcosa da mangiare?». Antonio ha 63 anni, è stanco, magrissimo. L’ingegnere venezuelano, profugo a Boa Vista, si avvicina a don Lucio Nicoletto con dignità e rispetto. «Se vuoi mangiamo qualcosa insieme» risponde il missionario che racconta: «Ci siamo seduti davanti ad un panino e ho cominciato ad ascoltarlo - racconta don Lucio -. Si rendeva conto che era vittima dell’illusione economica del governo populista di Chavez. Diceva: “Ho perso tutto ma non la mia dignità, non voglio andare a chiedere l’elemosina in strada”.
Avvocati, medici, professionisti venezuelani stanno mendicando per le vie delle città brasiliane. Li vedi impacciati, non vorrebbero ritrovarsi a vivere così. Eppure lo fanno». Antonio si vergogna di accettare l’aiuto di don Nicoletto che gli passa anche il suo panino e gli spiega: «non devi vergognarti, stai solo chiedendo aiuto; chi lo fa in maniera onesta ha solo il diritto di essere aiutato. Può capitare a te come a me, insieme possiamo cambiare le cose».
La piccola parabola della solidarietà è una pagina di Vangelo che don Lucio vuole condividere: «Ho capito che i più poveri hanno bisogno di umanità che si traduce in tempo per ascoltare, per condividere un panino. Troppe volte siamo abituati a dare beni materiali ma non il cuore. Anche noi preti ci siamo abituati ad offrire servizi ma oltre alla fame di cibo c’è quella d’amore. È l’amore che dà dignità alla persona». A Boa Vista (400mila abitanti) ci sono 3.700 profughi arrivati con le ultime ondate che si sono aggiunti a quelli già presenti in città. Don Lucio Nicoletto, nato in provincia di Padova nel 1972, da 17 anni è fidei donum in Brasile, prima nelle periferie di Rio de Janeiro (fino al 2016), poi nello stato di Roraima. Inviato su questo nuovo fronte missionario aperto dalla diocesi di Padova, nel 2018 è passato a Boa Vista, dove è vicario generale e responsabile Caritas.
«Nel Brasile amazzonico sono passate decine di migliaia di disperati – racconta –. A Nord si sono insediate persone uscite dal carcere e sono iniziati traffici illegali insieme ai garimperos (cercatori d’oro, ndr) della zona». Col governo Bolsonaro il fenomeno del garimpo – dichiarato illegale ma non combattuto – è esploso, creando molti problemi alle popolazioni indigene locali, per il mercurio usato per separare l’oro dal resto della materia. Questo causa un altissimo inquinamento delle falde acquifere dei villaggi delle popolazioni indigene e la morte di bambini e adulti. «Intorno a loro ruota un Far west, in cui proliferano prostituzione, traffico di persone e droga – dice il missionario –. Chi vive nel garimpo entra in un circolo vizioso in cui la fame d’oro è peggio della droga. I missionari hanno sempre contrastato apertamente questo fenomeno, per i gravi danni e i pesanti disagi che crea nelle riserve dei popoli indigeni».
La sopravvivenza di etnie originarie è minacciata anche dall’agro business dei fazendeiros, che disboscano la foresta per piantare soia o creare allevamenti di bovini. «Fino all’altro secolo c’era tanta terra con pochi indigeni che invece la preservano perché è la Madre Terra. Attraverso la pastorale indigenista, la Chiesa segue sia i popoli indigeni che decidono di vivere secondo i propri costumi nelle terre dei padri, sia quelli che sono andati a vivere in realtà urbane, perché non perdano le proprie tradizioni. Conducono una vita semplice, ma politici e chiese evangeliche vogliono impossessarsi del loro territorio. Il rischio è che essendo divisi, il governo possa ritirare il decreto governativo che definiva i confini e i diritti sulle loro terre».
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