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della Conferenza Episcopale Italiana

Anche nel dolore più inaccettabile, la speranza può rifiorire

Don Luigi Zucaro è uno dei cappellani dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma. Difficile immaginare come si possa portare l’annuncio evangelico in un contesto come quello. Eppure da alcuni anni intorno a lui c’è un gruppo di genitori che, pur colpiti dal lutto e dal dolore più inaccettabile, nella fraternità hanno ritrovato la speranza
28 Aprile 2022
di GIULIA ROCCHI

«Penso spesso a una mamma che stava perdendo la sua unica figlia, quattordicenne, per una grave forma di leucemia. Sia lei che il marito non erano persone particolarmente legate alla Chiesa, non facevano parte di gruppi o movimenti. Eppure questa donna mi ha detto parole di una profondità teologica incredibile. Davvero si vedeva che il Signore era vicino a lei, le dava una luce e una forza straordinarie. Sono stati loro, come tanti altri genitori, ad aiutare me. È molto più quello che ho ricevuto di quanto ho potuto dare». 

Don Luigi Zucaro è uno dei cappellani dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù. Ogni giorno, con i due confratelli padre Mario Pippo e don Vistremundo Nkogo, visita i piccoli degenti, parla con i loro familiari, celebra la Messa e conferisce i sacramenti.

Difficile immaginare come si possa portare l’annuncio evangelico in un contesto come quello del più grande policlinico pediatrico d’Europa, dove le persone sperimentano un dolore estremo: la malattia e la perdita di un figlio. Allora, sottolinea don Zucaro, è importante innanzitutto la vicinanza.  

«La pastorale è fatta di rapporti interpersonali – spiega –; passiamo nei reparti, parliamo con le persone. Bisogna entrare innanzitutto in una relazione amicale altrimenti diventa una forzatura, anche perché non tutte le persone che incontriamo qui hanno una sensibilità religiosa. Ci sono molti stranieri, perché il nostro è un ospedale internazionale». Nei reparti del Bambino Gesù passano «persone di tutti i tipi – prosegue – e tutte devono sentirsi anzitutto accompagnate da una vicinanza umana ancor prima che spirituale, in un momento duro come quello della malattia di un figlio». Anche perché, spiega ancora il sacerdote, «oggi i bambini e i ragazzi ricoverati sono veramente quelli in condizioni più gravi, in quanto le situazioni più semplici vengono curate a casa o risolte ambulatorialmente. Per via della pandemia, inoltre, può restare accanto al proprio figlio soltanto un genitore, che magari spesso viene da fuori Roma. In tutti questi casi – continua – il sacerdote deve farsi innanzitutto compagno di viaggio».

 

 

C’è chi rimane in ospedale per periodi molto lunghi. Bambini appena nati, ricoverati fin dalla nascita. «Per loro spesso i genitori chiedono i sacramenti», racconta don Zucaro. Non solo battesimo e comunione ma anche, spesso, l’unzione degli infermi. «La parte più dolorosa del nostro ministero è senz’altro quella che riguarda la terminalità – dice –, quando i medici spiegano che non è più possibile curare il bambino, ma soltanto attendere il decesso. In quei casi il nostro ruolo diventa ancora più importante».

Ma il servizio di don Luigi non si ferma con la morte dei piccoli pazienti. Prosegue nell’accompagnamento dei genitori anche nel periodo del lutto. Dieci anni fa è nato infatti il gruppo “Tenuto per mano”. «Il gruppo si è formato spontaneamente, su iniziativa di alcuni genitori che avevano perso i bambini a causa di una malattia – spiega il sacerdote –. Adesso ci vediamo tre o quattro volte l’anno, facciamo dei ritiri, preghiamo, condividiamo esperienze». Federico e Barbara Gramaglia sono stati la prima coppia “tenuta per mano”. «Tutto nasce dalla malattia di Ilaria, una delle nostre figlie che nel 2011, dopo nove mesi di terapie, va in cielo a causa della progressione di un tumore cerebrale, un medulloblastoma in una forma rara e aggressiva – raccontano –. Volendo fare un bilancio di questi anni, possiamo dire di aver visto mamme che arrivano piene di rabbia e risentimento, che quasi si erano trasferite anche loro nel cimitero, ma che col tempo finiscono per aiutare altre mamme ascoltando, raccontando e anche lasciando piangere.

Papà che da ammutoliti e spenti diventano incoraggiamento per altri papà, svelandogli trappole e nodi coniugali ricorrenti. Così pian piano si è radunato un “piccolo popolo” che ha intrapreso un cammino, fatto di preghiera ma anche di convivialità e condivisione, che a vicenda si ricorda come quel figlio tanto amato non sia il passato perduto per sempre, ma un futuro da scoprire e conquistare». La testimonianza di Emanuele e Debora Bagalà, genitori di sette figli e protagonisti di queste foto, la trovate in un video pubblicato su www.unitineldono.it. La loro quinta figlia, Elisabetta, è volata in cielo nel 2018, a 5 mesi, a causa di una malformazione cardiaca congenita.

foto CRISTIAN GENNARI / AGENZIA ROMANO SICILIANI