SERVIZIO PER LA PROMOZIONE DEL SOSTEGNO ECONOMICO ALLA CHIESA CATTOLICA
della Conferenza Episcopale Italiana

Accanto agli ultimi, testimoni del Buon Pastore

“La vocazione missionaria dà la forza ai presbiteri di non abbandonare nell’ora più desolata le popolazioni loro affidate”
29 Maggio 2020

di ELISA PONTANI  foto FRANCESCO ZIZOLA /AGENZIA ROMANO SICILIANI/CARITAS INTERNATIONALIS

 

All’arrivo del coronavirus sono rimasti a fianco degli ultimi, in Paesi senza terapie intensive, né acqua a portata di mano. È anche nell’istantanea della pandemia la missione dei ‘preti senza frontiere’, tra cui circa 400 fidei donum (dono della fede) sostenuti dalle nostre Offerte. “Di fronte all’angoscia della morte ci domandiamo dov’è Dio? Stavolta mi sono chiesto piuttosto dove vogliamo essere noi? – ha scritto dalla diocesi di Santiago, a Cuba, don Marco Pavan – Prego più a lungo per tutti. E anche se tanti non si rifugiano nella fede neppure in queste circostanze, faccio mia la logica del seminatore evangelico, che dà tutto senza preoccuparsi di ricevere”. 

Padre Franco Nascimbene, 67 anni, una vocazione da Malnate (Varese) alla periferia di Bogotà: in Colombia è circondato da case con i panuelos rojos, i vestiti rossi sventolati durante il lockdown da chi non ha  più niente da mangiare. “Sono rimasto qui, senza rientrare nella casa dei comboniani – spiega – Consegno latte di soia e aiuti dei benefattori. Pur nella durezza della sopravvivenza, anche a me hanno donato uova, riso, lenticchie. È la tenerezza dei poveri che sta trionfando”. “Restare a casa è impossibile per chi non ce l’ha o vive con la famiglia in pochi metri quadrati, con l’acqua alla fontana, come negli slum di Nairobi – indica padre ‘Renato ‘Kizito’ Sesana dal Kenya – Stare in strada per tanti vuole dire guadagnarsi la giornata”. Don Luigi Turato della diocesi di Padova, oggi a Caracaraì, in Brasile: “Il Paese è investito in pieno dal contagio – ha riferito – Confidiamo nella Divina Provvidenza perché il sistema sanitario pubblico non ha i mezzi. I più grandi timori sono per chi vive nelle favelas, per gli indios, per i profughi venezuelani ammassati nei campi di Boa Vista, la capitale regionale”. “Non è che i preti diocesani ‘senza confini’ non sentano il pericolo o la paura di restare in Paesi senza mezzi davanti al coronavirus – spiega don Giuseppe Pizzoli, responsabile dell’Ufficio nazionale Cei per la cooperazione missionaria tra le Chiese – ma trovano nella loro vocazione e nella profonda spiritualità missionaria la forza di non abbandonare nell’ora più desolata le popolazioni loro affidate”. In questi mesi di pandemia li raggiungono le Offerte per il sostentamento. E alle Chiese sorelle del Terzo mondo la Cei ha inviato fondi straordinari 8xmille per 9 milioni di euro. Un aiuto tempestivo per salvare vite umane, oltre che prevenire l’aumento significativo di conflitti, fame e povertà. Intanto, nel servizio di ogni giorno al Vangelo, “nessuno più dei missionari ad gentes spera che dopo quest’oscurità prevalga un altro modo di vivere” aggiunge don Pizzoli.

Che lo slogan ‘nulla sarà più come prima’ significhi, anche per la parte più povera del mondo, la svolta verso un’economia non predatoria, ma animata da scelte di giustizia, come ha chiesto Papa Francesco.