SERVIZIO PER LA PROMOZIONE DEL SOSTEGNO ECONOMICO ALLA CHIESA CATTOLICA
della Conferenza Episcopale Italiana

“A ‘Casa Raab’ le donne trafficate sono in salvo”

6 Giugno 2018

di ELISA PONTANI foto ARCIDIOCESI DI OTRANTO

Un rifugio per donne e minori vittime della tratta, aperto grazie ai fondi 8xmille destinati alla Chiesa cattolica. Casa Raab è nata per l’urgenza di creare una via sicura di fuga per minori e ragazze, spesso con figli, e sottrarli ad una violenza senza fine. Magneti di un business dagli alti profitti (il trafficking è tra i più remunerativi del mondo dopo droga e armi, con la vittima rivenduta più volte) e dai tuttora bassi rischi giudiziari. I traumi sono profondi (“come cadere dal sesto piano” è l’analogia usata nei Trafficking Persons Reports internazionali). E la deprivazione umana e culturale viene pian piano alleviata grazie a sostegno e formazione da parte della cooperativa Atuttotenda, onlus nata su impulso della Caritas diocesana di Otranto. Nella casa, coordinata da Maria Carmela Spagnolo, arrivano in preda al terrore di poter essere di nuovo intercettati, ma trovano un rifugio sicuro, con vitto, alloggio, assistenza sanitaria e tutela legale, oltre che un percorso dall’educazione all’inclusione sociale. Così la vita riprende, in dignità e autonomia. “Dopo l’allontanamento immediato dalla strada e dagli sfruttatori, li accogliamo in un clima familiare” hanno spiegato gli operatori ai cronisti di Tele Dehon, Barbara Lomuscio e Luca Ciciriello, premiati dal concorso Cei-Fisc. Alle spalle la traversata del Mediterraneo in barcone, l’approdo in Sicilia, poi nei centri di accoglienza, dove la giovane viene raggiunta da una madame con il ricatto della prostituzione. Alti i rischi anche per i minori (in Italia, secondo i dati choc di Telefono azzurro, ogni 2 giorni ne scompare uno, straniero nel 60% dei casi). I volontari riescono a contattarli attraverso un’unità mobile su strada. Oltre 350 le giovani incontrate in questi anni: 200 dalla Nigeria, 22 dal Senegal, 31 marocchine, 31 dal Ghana, 3 dal Pakistan, 2 indiane, 11 bulgare, 10 albanesi, 13 maliane, 17 tunisine, 16 romene. Per lo più under 25 e con figli.

 

 

Dal 2011, il team (un assistente sociale, educatori, una psicologa, un legale e una mediatrice culturale) è riuscito a liberare e ad avviare ad un impiego oltre 30 di loro. Passando magari dalla sartoria multiculturale Riammagliamo la speranza, progetto di inclusione sociale promosso da Progetto Policoro della Chiesa italiana, Caritas idruntina e la stessa cooperativa. “Mi impressiona sempre vedere come un uomo abbia la capacità di distruggere un’altra persona - scandisce don Maurizio Tarantino, direttore della Caritas diocesana di Otranto - Nostro compito è insegnare a queste ragazze che sono creature uniche, con il diritto di vivere libere”. Grazie a chi a distanza le ha accompagnate, con la firma, verso una nuova esistenza, definita dal coraggio.