SERVIZIO PER LA PROMOZIONE DEL SOSTEGNO ECONOMICO ALLA CHIESA CATTOLICA
della Conferenza Episcopale Italiana

Sovvenire alle necessità della Chiesa. Corresponsabilità e partecipazione dei fedeli. Primo capitolo

Iniziamo da questo numero di In Cerchio la pubblicazione del documento dell’Episcopato italiano del 1988 Sovvenire alle necessità della Chiesa. Corresponsabilità e partecipazione dei fedeli, a partire dal primo capitolo. ****************** La revisione del Concordato lateranense e le riforme che ne sono derivate stanno ponendo in maniera nuova alla Chiesa che è in Italia il […]
21 Febbraio 2018

Iniziamo da questo numero di In Cerchio la pubblicazione del documento dell’Episcopato italiano del 1988 Sovvenire alle necessità della Chiesa. Corresponsabilità e partecipazione dei fedeli, a partire dal primo capitolo.

******************

  1. La revisione del Concordato lateranense e le riforme che ne sono derivate stanno ponendo in maniera nuova alla Chiesa che è in Italia il problema antico della disponibilità di risorse economiche, di cui la Chiesa stessa abbisogna per la propria vita e per l’adempimento della sua missione.

Non dispiaccia che i vescovi ne parlino, nell’esercizio del loro magistero pastorale. Non si tratta di «mischiare il sacro e il profano» o di concedersi a preoccupazioni troppo umane e poco evangeliche. Si tratta piuttosto di cogliere, anche sotto questo profilo, la peculiare realtà della Chiesa e le esigenze che derivano dalla nostra appartenenza ad essa, per metterla sempre meglio in grado di esercitare la missione ricevuta dal Signore. Siamo anzi convinti che proprio il non parlare di tale problema nel quadro dei valori evangelici ed ecclesiali rischia di dare spazio a concezioni scorrette e a prassi ambigue, che danneggiano la credibilità della Chiesa. La responsabilità educativa, cui siamo tenuti nei confronti di tutti i fedeli, ci induce dunque a prendere la parola, valorizzando gli appuntamenti e gli impegni ai quali saremo chiamati a partire dal prossimo anno.

I. Necessità della Chiesa, povertà evangelica e partecipazione dei fedeli ne magistero conciliare e nella prassi delle prime comunità cristiane

L’insegnamento del concilio Vaticano II

  1. Ciò che il concilio Vaticano II rivendica per tutte le confessioni come espressione del diritto di libertà religiosa («alle comunità religiose compete il diritto... di acquistare e di godere di beni adeguati» - DH 4) vale anche per la Chiesa cattolica e trova una profonda motivazione in precise ragioni teologiche.

La Chiesa vive nello spazio e nel tempo, perché Cristo l’ha costituita qui sulla terra come realtà risultante di un elemento umano e di un elemento divino, come organismo visibile e sociale, al servizio del suo Spirito che la vivifica e la fa crescere (cf. LG 8); pellegrina verso la patria celeste, nelle sue istituzioni porta la figura fugace di questo mondo e vive tra le creature (cf. LG 48), consapevole che «le cose terrene e quelle che, nella condizione umana, superano questo mondo sono strettamente unite»; perciò essa «si serve delle cose temporali», anche se soltanto «nella misura che la propria missione richiede» (GS 76).

Questa subordinazione costitutiva dell’uso dei beni temporali da parte della Chiesa, nella qualità e nella misura, alle caratteristiche e alle esigenze della sua missione è molto importante, e merita di essere richiamata fin dall’inizio della nostra riflessione. Il discorso sulle risorse economiche di cui la Chiesa abbisogna, pur necessario, non può contraddire, anzi deve profondamente intrecciarsi con l’imperativo evangelico e con la virtù cristiana della povertà, che valgono non soltanto per i singoli fedeli ma anche per la realtà istituzionale e per le modalità d’azione della Chiesa medesima.

La rinuncia all’imponenza umana dei mezzi e delle risorse è infatti manifestazione e garanzia di totale fiducia nella forza dello Spirito del Risorto, da cui origina la missione. Questa rinuncia custodisce nella Chiesa la coscienza del proprio essere strumento dell’azione di Dio ed è segno e condizione di credibilità della sua opera evangelizzatrice.

Il concilio è molto chiaro in proposito: «Come Cristo ha compiuto la sua opera di redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni, così la Chiesa è chiamata a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza»; la Chiesa dunque «quantunque per compiere la sua missione abbia bisogno di mezzi umani, non è costituita per cercare la gloria sulla terra, bensì per far conoscere, anche con il suo esempio, l’umiltà e l’abnegazione» (LG 8c). Ne viene che «poiché la missione continua e sviluppa nel corso della storia la missione del Cristo stesso, inviato a portare la buona novella ai poveri, la Chiesa sotto l’influsso dello Spirito di Cristo deve procedere per la stessa strada seguita da Cristo, cioè la strada della povertà, dell’obbedienza, del servizio e del sacrificio di sé fino alla morte, da cui uscì vincitore» (AG 5b). In una parola: «Lo spirito di povertà e di carità è la gloria e la testimonianza della Chiesa di Cristo» (GS 88a)

Le indicazioni del Nuovo Testamento

3. Del resto, quanto il concilio afferma non può stupire chi abbia familiarità con le narrazioni evangeliche e con le testimonianze della Chiesa apostolica.

A) Gesù e i discepoli. Gesù e il gruppo di discepoli che condividevano con lui il ministero evangelico lungo le strade di Palestina per primi hanno vissuto la testimonianza della povertà, conducendo una vita itinerante, senza il sostegno di una famiglia e senza la garanzia di un lavoro ( Mt 8,20; Lc 18,28).

Per le cose necessarie disponevano di un minimo di risorse, come traspare da qualche accenno dei Vangeli: le risorse provenivano anzitutto dalla generosità dei seguaci e dei simpatizzanti di Gesù, tra i quali si distinguevano alcune donne (cf. Lc 8,1-3); c’erano una cassa e un amministratore (cf. Gv 12,6; 13,29); e di quanto perveniva si usava per il sostentamento di Gesù e dei discepoli (cf. Gv 4,8), per le necessità della missione evangelica (cf. Mt 14,15-16; 15,32), per i doveri del culto (cf. Gv 13,29; Mt 17,24-27) e per l’aiuto ai poveri (cf. Gv 13,29).

  1. B) Le comunità apostoliche. Nella Chiesa apostolica, che cresce e si organizza, si rintraccia lo sviluppo coerente di questi tratti.

La parola rivolta da Pietro allo storpio che chiede l’elemosina alla porta del tempio: «Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!» (At 3,6), esprime molto bene la coscienza e la condizione dei primi cristiani: il vero «tesoro» della Chiesa non è l’oro né l’argento ma il «nome» di Gesù, nel quali si manifesta la potenza di Dio salvatore, quel Dio che «ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio» (1Cor 1,27-29).

Tutto nella Chiesa deve prendere senso alla luce di questa legge fondamentale della salvezza cristiana: le «cose che sono», comprese le risorse economiche, debbono in qualche modo «svuotarsi» della loro consistenza mondana e servire come semplici strumenti per aprire la strada alla «stoltezza della predicazione» e per manifestarne la potenza trasformatrice nel segno della carità.

L’insegnamento e l’esempio di Gesù devono dunque segnare anche l’uso dei beni da parte di quelli che credono in lui e vengono alla Chiesa. Possiamo raccogliere in proposito dagli scritti neotestamentari alcuni cenni particolarmente espressivi:

- Si educano i credenti a non considerare come esclusivamente proprio ciò che essi possiedono, ma a metterlo generosamente nel dinamismo di una vita di comunione concreta (cf. At 4,32), deponendo la propria offerta ai piedi degli apostoli (cf. At 4,34-35), centro della comunione ecclesiale e sovraintendenti dei servizi della carità (cf. At 6,1-6).

- Si allarga l’orizzonte della solidarietà ecclesiale, particolarmente attraverso la grande colletta organizzata da Paolo nelle chiese da lui fondate in favore della Chiesa madre di Gerusalemme, per la quale egli raccomanda che «ogni primo giorno della settimana (la domenica) ciascuno metta da parte ciò che gli è riuscito di risparmiare» (1Cor 16,2; cf. anche 2Cor 8-9).

- Si impegnano i membri della comunità a sostenere l’attività missionaria, «imparando a distinguersi nelle opere di bene riguardo ai bisogni urgenti, per non vivere una vita inutile» (Tt 3,13-14);  v. anche 3Gv 1,5-8).

- Riprendendo una precisa parola di Gesù (cf. Lc 10,7), si danno disposizioni per il sostentamento degli operai del Vangelo che si affaticano nella predicazione e nell’insegnamento (cf. 1Cor 9,11-14 Gal 6,6; Fil 4,10-19; 1Tm 5,17-18), anche se per essi rimangono precettivi il distacco e la semplicità (cf. Mt 10,9-15), la gratuità del dono (cf. Mt 10,8), la prontezza ad accettare la tribolazione annunciata insieme al centuplo promesso (cf. Mc 10,30) e il rischio di un’esistenza vissuta nell’affidamento totale «al Signore e sulla parola della sua grazia» (At 20,32).

- I credenti più fortunati mettono le loro case a disposizione per l’ospitalità missionaria (cf. At 16,14-15) e per le riunioni della comunità e le celebrazioni del culto cristiano (cf. At 16,14-15; Fm 1-2).

- Si organizzano i ministeri dell’assistenza e della carità, sostenuti dall’apporto delle comunità: in particolare il ministero dei diaconi (cf. At 7) e quello delle vedove (cf. 1Tm 5,9-10).

- Si insiste sul dovere della beneficenza, considerata come forma di autentico «culto spirituale» (cf. Rm 12,13; Eb 13,16), da vivere nello spirito della parola di Gesù «vi è più gioia nel dare che nel ricevere» (At 20,35) da parte di tutti i fedeli, ma soprattutto di quelli che sono «ricchi in questo mondo», cui spetta «di fare il bene, di arricchirsi di opere buone, di essere pronti a dare, di essere generosi, mettendosi così da parte un buon capitale per il futuro, per acquistarsi la vita vera» (1Tm 6,17-19).

- E tutto deve essere fondato sulla convinzione che genera partecipazione, sulla libertà mossa dall’amore, sulla lealtà segno di verità, come ricorda con forti tratti l’episodio di Anania e Saffira        (cf. At 5,1-11).

- Via via che la Chiesa si diffonde e offre la testimonianza di una fraternità concreta aperta alle esigenze della carità, aumentano anche gli apporti: tra coloro che si convertono al Vangelo vi è chi avverte l’esigenza di ricomporre i rapporti con i fratelli e affida alla Chiesa quanto intende destinare ai poveri, sull’esempio di Zaccheo (cf. Lc 19,8) e nella linea dell’ammonimento di Gesù, che invita a farsi amici i poveri in vista del giudizio, riscattando l’ambiguità della ricchezza (cf. Lc 16,9).

La Chiesa dei primi secoli

  1. Soprattutto nei primi tre secoli della sua vita, la Chiesa è sostenuta nelle sue esigenze concrete dal senso di comunione, di partecipazione e di solidarietà, educato nei fedeli come caratteristica coerente di un’esistenza trasformata dalla novità cristiana. È da segnalare in modo particolare la stretta connessione tra la celebrazione della liturgia cristiana, specialmente dell’eucaristia, e l’impegno alla condivisione fraterna e alla carità solidale.

Già l’apostolo aveva ammonito che il radunarsi insieme per mangiare la cena del Signore non poteva essere contraddetto da avidità egoistiche dei fedeli più dotati, che gettano il disprezzo sulla Chiesa e fanno vergognare chi non ha niente (cf. 1Cor 11,20-22; cf. anche Gc 2,1-6). Paolo poi non aveva temuto di qualificare la colletta in favore dei poveri di Gerusalemme come atto liturgico, come «servizio sacro», che non soltanto «provvede alle necessità dei santi, ma ha anche maggior valore per i molti rendimenti di grazie a Dio» che esso suscita (2Cor 9,12).

I padri della Chiesa, il cui stimolante insegnamento sull’uso dei beni da parte dei cristiani meriterebbe di esser meglio conosciuto, sviluppano volentieri questo tema. Ricordiamo per tutti il filosofo e martire Giustino, che sottolinea con forza questo aspetto nella sua prima apologia, scritta all’imperatore in difesa dei cristiani verso l’anno 150 d. C.: non soltanto «in ogni luogo e per ogni cosa cerchiamo di pagare tributi e tasse a coloro che hanno il compito di riscuoterli, come ci è stato insegnato da Gesù» (17, 1), ma, un tempo «bramosi più di ogni altro dei mezzi per conseguire ricchezze e possedimenti, ora, portando in comunità quanto possediamo, lo condividiamo con chi è bisognoso» (14, 2).

Tutto questo è strettamente congiunto con il momento eucaristico: «Nel giorno detto del sole, riunendoci tutti in un sol luogo dalla città e dalla campagna, si fa un’assemblea», nella quale si leggono gli scritti sacri, si ascolta l’ammonizione di colui che presiede, si elevano preghiere comuni, si porta pane, vino e acqua, si consacrano i doni in rendimento di grazie, ci si comunica al pane eucaristico, mandandone per mezzo dei diaconi a chi non è presente; ma non manca il gesto della carità fraterna: «Coloro che hanno in abbondanza e che vogliono, ciascuno secondo la sua decisione dà quello che vuole e quanto viene raccolto è consegnato al presidente; egli stesso va ad aiutare gli orfani, le vedove e coloro che sono bisognosi a causa della malattia o per qualche altro motivo, coloro che sono in carcere e gli stranieri che sono pellegrini: è insomma protettore di tutti coloro che sono nel bisogno» (67, 2-6).

È da ricordare inoltre che non esiste in questo tempo alcuna forma di intervento da parte dell’autorità civile o delle strutture pubbliche; piuttosto, non mancano nella società pagana limitazioni e condizionamenti a un più efficace e organico dispiegarsi delle strutture e dei servizi ecclesiali. Ma la convinzione dei credenti e la fierezza di poter contribuire a far correre tra i pagani la novità del Vangelo hanno permesso alla Chiesa di irradiarsi sino ai confini del mondo conosciuto contando sulle proprie forze.

L’evoluzione storica

  1. Non possiamo seguire in questa sede la complessa evoluzione del problema delle risorse economiche della Chiesa nelle vicende storiche successive.

Non sono mancate le luci e le ombre. Il grande fiume della generosità ecclesiale non ha mai cessato di scorrere, sia in afflusso che in deflusso; le forme dell’apporto dei fedeli si sono progressivamente trasformate, non senza concreta relazione all’evolversi delle condizioni sociali e culturali proprie dei diversi contesti in cui la Chiesa operava, e le finalità concrete perseguite nell’uso delle risorse hanno diversamente accentuato i quattro riferimenti essenziali: culto, apostolato/pastorale, carità, sostentamento del clero.

È venuto crescendo anche l’apporto delle autorità civili e il concorso delle risorse pubbliche, sia pur attraverso alterne e travagliate vicende. Questo fatto ha indubbiamente permesso un consolidamento delle strutture ecclesiali e un accrescimento dei mezzi necessari o utili per la sua missione, ma ha introdotto anche non poche ambiguità, ha talvolta condizionato la piena libertà del ministero pastorale e ha generato in alcuni casi forme paradossali di «tutela», sfociate in misure di

pesante interferenza amministrativa da parte dello stato quando non addirittura nell’eversione del patrimonio ecclesiastico.

È andato in ogni modo confermandosi quel dovere di partecipazione anche economica dei fedeli in favore della Chiesa, che si è formulato poi in maniera semplice e chiara in uno dei tradizionali «precetti»: «sovvenire alle necessità della Chiesa contribuendo secondo le leggi e le usanze».

Tale dovere si è comunemente espresso attraverso tre forme principali di «sovvenzione»: le offerte in denaro o in natura, date dai fedeli spontaneamente o in risposta a sollecitazioni pastorali in occasione di particolari circostanze o a titolo di tributo; le offerte connesse con la celebrazione di sacramenti o di sacramentali, in primo luogo della S. Messa, avvertite come occasione per l’espressione della propria partecipazione ecclesiale e della carità concreta nei momenti significativi della propria esistenza e della vita familiare; i lasciti di beni sotto forma di donazione, eredità o legato, o di costituzione di fondazioni pie di vario tipo.