SERVIZIO PER LA PROMOZIONE DEL SOSTEGNO ECONOMICO ALLA CHIESA CATTOLICA
della Conferenza Episcopale Italiana

Sovvenire alle necessità della Chiesa. Corresponsabilità e partecipazione dei fedeli. IV capitolo

IV. CRITERI E FORME DELLA PARTECIPAZIONE 12. In una materia complessa e segnata da tante vicende storiche, che hanno influenzato soprattutto nel nostro Paese mentalità e tradizioni, è bene richiamare alcuni criteri-guida a cui tutti - pastori e fedeli - dobbiamo riferirci in maniera sempre più consapevole nel vivere l’impegno della partecipazione al sostegno economico […]
22 Maggio 2018

IV. CRITERI E FORME DELLA PARTECIPAZIONE

12. In una materia complessa e segnata da tante vicende storiche, che hanno influenzato soprattutto nel nostro Paese mentalità e tradizioni, è bene richiamare alcuni criteri-guida a cui tutti - pastori e fedeli - dobbiamo riferirci in maniera sempre più consapevole nel vivere l’impegno della partecipazione al sostegno economico della Chiesa.
A) Responsabilità dei cristiani e intervento dello Stato. La primaria responsabilità per il sostegno economico alla vita e all’azione pastorale della Chiesa spetta ai fedeli e alle comunità cristiane (cf. cann. 222 e 1260); Stato e, più in generale, le pubbliche istituzioni sono impegnati a dare un loro apporto in forme corrette e trasparenti, ma per diverso titolo (cf. GS 76).
La partecipazione delle comunità cristiane e di ciascun fedele al sostegno della Chiesa ha una radice teologica, è una questione di coerenza nell’appartenenza ecclesiale, è animata e sostenuta dalla fede e dalla carità; perciò, trattandosi di una obbligazione fondamentale dei battezzati, costituisce anche la garanzia permanente e sicura della disponibilità di risorse per la Chiesa medesima. La generosità dei fedeli, illuminata dalla fede, non verrà mai meno.
L’apporto delle risorse pubbliche è invece fondato, in uno stato democratico-sociale, sul doveroso apprezzamento della rilevanza etica, culturale e sociale della presenza e dell’azione della Chiesa nella trama viva della società in ordine alla formazione di quel tessuto di valori che fondano e presidiano un’autentica democrazia ispirata a princìpi di rispetto e promozione della persona umana, di giustizia e di solidarietà; e nello stesso tempo sul compito, che la costituzione italiana assegna alla Repubblica, di rimuovere gli ostacoli e di promuovere le condizioni per il pieno esercizio delle libertà fondamentali dei cittadini, tra le quali vi è indubbiamente la libertà religiosa (cf. artt. 3, 7, 8, 19, 20 Cost.).

13. B) Libertà dei fedeli e attenzione alle esigenze pastorali. La Chiesa ha sempre riconosciuto largo spazio alla libertà dei fedeli nell’orientare le loro offerte in favore di diverse finalità ecclesiali, e intende rispettare con scrupolo le specifiche intenzioni da loro indicate quando non contrastino con il bene comune (cf. cann. 1300 e 1301). Occorre però nello stesso tempo educare i fedeli a rispettare un ordine nella finalizzazione dei loro apporti.

È ovvio che la propria concreta comunità di appartenenza ecclesiale sia spesso la prima destinataria del nostro dono, ma non si può dimenticare che ogni comunità vive entro la più vasta realtà della Chiesa particolare, la diocesi, di cui è cellula viva e da cui è garantita nella sua vitalità (cf. can. 1274 § 3), e che ogni Chiesa particolare è chiamata a esprimere fraterna solidarietà verso tutte le altre chiese, particolarmente quelle più bisognose (ibidem), e a sostenere con il proprio apporto il centro visibile della comunione cattolica, cioè il Papa e gli organismi di cui egli si serve per il suo servizio universale di carità (cf. can. 1271).

La Chiesa poi apprezza che la generosità dei fedeli si orienti liberamente anche nella direzione degli istituti di vita consacrata, delle associazioni variamente configurate che hanno finalità di apostolato o di animazione cristiana della società, delle molteplici opere e istituzioni, antiche e nuove, fiorite nel grande solco della carità cristiana; della promozione dell’arte e della cultura cristianamente ispirate e della salvaguardia e valorizzazione del cospicuo patrimonio storico-artistico consegnatoci dalle generazioni di fedeli che ci hanno preceduto.

Vogliamo sottolineare questa prospettiva. L’attenzione alla propria parrocchia, alla propria diocesi e alle necessità del Papa per l’aiuto a tutta la Chiesa dovrebbe esser avvertita sempre più da parte di tutti i fedeli, singoli e associati, come criterio di verifica di un senso di Chiesa veramente formato. La generosità e la libertà dei credenti saprà aprirsi anche ad altre destinazioni ecclesiali, ma nessuno dovrebbe trascurare quelle realtà - comunità parrocchiale, Chiesa particolare, Chiesa universale - che lo identificano nell’appartenenza ecclesiale originaria e che l’hanno generato ed educato alla fede.

In questa prospettiva vogliamo ringraziare i religiosi e le religiose per l’aiuto che già offrono a queste realtà ecclesiali secondo le indicazioni del can. 640, che propone al loro impegno di carità e povertà anche il sovvenire alle necessità della Chiesa con qualcosa dei propri beni. Nel contempo confermiamo ai religiosi e alle religiose la nostra sollecitudine fraterna per le loro necessità e ringraziamo con loro il Signore perché la generosità dei fedeli sa esprimersi concretamente come stima per il loro carisma e attaccamento e sostegno alle loro opere.

14. C) Il diverso valore delle forme di contributo alla Chiesa. C’è un ordine da promuovere anche nelle forme concrete dell’apporto dei fedeli. Stanno infatti per essere introdotte nel nostro Paese forme di agevolazione di tipo fiscale per il sostegno economico alla Chiesa cattolica da parte dei cittadini, di cui meglio diremo in seguito: deducibilità dalla base imponibile IRPEF, fino alla misura di due milioni, delle offerte per il sostentamento del clero; possibilità di destinare alla Chiesa lo 0, 8 per cento del gettito complessivo dell’IRPEF annuale.

Ebbene, si dovrà ricordare che l’apporto più ricco di valore cristiano resterà sempre quello che, nascendo da una coscienza formata e da un cuore generoso, che non misura vantaggi e svantaggi, si traduce in un sacrificio concreto non ripagato. Resta esemplare da questo punto di vista l’episodio evangelico dell’obolo della vedova (cf. Mc 12,41-44): per lo sguardo ammirato di Gesù non conta tanto la quantità dell’offerta, ma la disponibilità gratuita e totale da cui vengono i «due spiccioli»: «In verità vi dico: questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Perché tutti hanno dato del loro superfluo, essa invece, nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere». Del resto l’esperienza secolare della Chiesa dice che proprio su queste offerte «non agevolate» possono contare le comunità cristiane e s’appoggiano tante iniziative di bene, per non dire la quasi totalità.
Seguono poi le offerte deducibili, perché a fronte del vantaggio della riduzione della base imponibile IRPEF sta comunque un esborso personale, non completamente pareggiato dal vantaggio fiscale.

La scelta relativa alla destinazione dello 0, 8 per cento del gettito IRPEF viene per ultima nella scala di valore, perché non «costa nulla», anche se da essa deriverà di fatto un apporto finanziario considerevole, in quanto è particolarmente adatta per coinvolgere anche il cittadino non praticante o addirittura non credente, il quale apprezza l’opera della Chiesa in Italia e intende che la collettività nazionale la riconosca e la sostenga, assegnandole una quota, seppure modesta, del gettito fiscale.

15. D) Verifica e rinnovamento delle forme di partecipazione. L’apporto dei fedeli si deve esprimere tenendo conto dell’evoluzione del contesto sociale ed economico in cui la Chiesa concretamente vive e nello stesso tempo dello sviluppo della coscienza della Chiesa medesima, rinnovata dai grandi insegnamenti del Concilio.
Sono rispettabili, e per alcuni aspetti sempre raccomandabili, le forme tradizionali di apporto, caratteristiche delle diverse aree ecclesiali d’Italia. Ma occorre che i fedeli acquistino una più precisa consapevolezza delle odierne necessità della Chiesa e si facciano disponibili a sovvenirvi in forme più moderne ed efficaci. Ci permettiamo qualche esemplificazione in proposito:

- Nell’attuale contesto e nelle prospettive prevedibili della società italiana, la forma insieme più agile e più sicura di apporto non è quella affidata all’impulso emotivo ed episodico, ma quella del contributo regolare e stabile per le diverse necessità ecclesiali, che dovrebbe essere concepito come impegno di ciascuna famiglia cristiana e messo in qualche modo in bilancio nella programmazione mensile o annuale della destinazione delle risorse familiari.

- La convergenza su alcune finalità fondamentali e comuni, proposte dalla parrocchia, dalla diocesi o dalla Santa Sede, è praticamente più utile del perseguimento di scopi personali o marginali, anche perché esalta quell’«anonimato» della carità che è espressione di autenticità evangelica.

- Le norme di derivazione concordataria hanno attribuito la personalità civile all’ente diocesi e all’ente parrocchia, riconoscendo così finalmente anche nell’ordinamento dello stato l’identità e il rilievo di queste realtà fondamentali della vita e dell’organizzazione della Chiesa. Ciò comporta che diocesi e parrocchie possono essere come tali titolari di rapporti giuridici, compresa la proprietà di beni economicamente redditizi. Sarà bene segnalare tutto questo all’attenzione dei fedeli, perché è importante che tali enti possano contare su un minimo di patrimonio stabile, non sostitutivo ma integrativo delle offerte e degli apporti ordinari ed usuali; va quindi ricordato che la generosità e la sensibilità ecclesiale dei fedeli può dare particolare attenzione a detti enti attraverso la forma delle donazioni, delle eredità e dei legati, fermo restando che diocesi e parrocchie dovranno poi sapersi aprire a quelle istanze di solidarietà e di perequazione tra gli enti della Chiesa, che abbiamo più volte richiamata.

- È bene evitare nella misura possibile di porre a carico dell’ente a cui si dona oneri e condizionamenti, pur derivanti da apprezzabili intenzioni di devozione o di memoria, che siano eccessivi e rendano praticamente difficile una moderna gestione delle risorse generosamente donate alla Chiesa.

- La dimensione gioiosa e «festiva» dell’esistenza cristiana è un valore che non dev’essere negletto e può trovare legittima manifestazione nelle forme care alla tradizione pastorale e a una religiosità popolare ben orientata; ma vale anche a questo proposito il richiamo alla semplicità e alla sobrietà, che non tollera ostentazioni e sprechi, offensivi delle attese dei poveri e delle necessità della Chiesa, e invita a difendere la verità di quella dimensione educando a coglierne il senso più che enfatizzandone i segni.

- Occorre mettere ben in luce che l’apporto dei fedeli non si esaurisce nel conferimento di denaro o di beni; ci sono ancor oggi forme ulteriori e diverse di partecipazione, che hanno un valore spesso più prezioso: si pensi a talune forme di volontariato (dal campo pastorale a quello assistenziale fino a quello della conservazione e valorizzazione dei beni culturali ecclesiastici locali), all’assicurazione di consulenze e di perizie tecniche e amministrative, alla prestazione di alcuni servizi (cura della Chiesa e degli ambienti parrocchiali, assistenza domestica ai sacerdoti, collaborazione negli uffici parrocchiali, ecc.).