Papa Francesco, intervenendo in forma privata all’apertura della 75.ma Assemblea della CEI, ha regalato ad ogni presule presente un cartoncino nel quale sono scritte le otto beatitudini del Vescovo indicate in una recente omelia da Monsignor Domenico Battaglia, arcivescovo di Napoli.
Ne riportiamo il testo pubblicato su Vatican News del 23 novembre a cura di Benedetta Capelli.
“Il vescovo – ha detto il Papa l’8 settembre 2018 ai vescovi dei territori di missione - non vive in ufficio, come un amministratore di azienda, ma tra la gente, sulle strade del mondo, come Gesù. Porta il suo Signore dove non è conosciuto, dove è sfigurato e perseguitato. E uscendo da sé ritrova sé stesso”.
Francesco più volte ha parlato della “grazia delle lacrime”; una grazia che vale soprattutto per chi è investito di un servizio come l’episcopato. Nella veglia di preghiera “Per asciugare le lacrime”, nella Basilica Vaticana, il 5 maggio 2016, ha affermato: “Se Dio ha pianto, anch’io posso piangere sapendo di essere compreso. Il pianto di Gesù è l’antidoto contro l’indifferenza per la sofferenza dei miei fratelli. Quel pianto insegna a fare mio il dolore degli altri, a rendermi partecipe del disagio e della sofferenza di quanti vivono nelle situazioni più dolorose”.
“Non è vero episcopato senza servizio – ha detto il Papa nella messa di ordinazione episcopale lo scorso 17 ottobre - non di un onore, come volevano i discepoli, uno alla destra, uno alla sinistra, poiché al Vescovo compete più il servire che il dominare, secondo il comandamento del Maestro: ‘Chi è il più grande tra voi, diventi come il più piccolo. E chi governa, come colui che serve’. Servire. E con questo servizio, voi custodirete la vostra vocazione e sarete autentici pastori nel servire, non negli onori, nella potestà, nella potenza… No, servire, sempre servire”.
Nell’omelia della Messa a Santa Marta il 12 novembre 2018, il Papa ricordando che Paolo lascia Tito a Creta per mettere ordine nella Chiesa, indica dei criteri e delle istruzioni. “La definizione che dà del Vescovo è un ‘amministratore di Dio’, non dei beni, del potere, delle cordate, no: di Dio. Sempre deve correggere se stesso e domandarsi: ‘Io sono amministratore di Dio o sono un affarista?’ Il vescovo è amministratore di Dio. Deve essere irreprensibile: questa parola è la stessa che Dio ha chiesto ad Abramo: ‘Cammina nella mia presenza e sii irreprensibile’. È parola fondante, di un capo”.
Incontrando il 19 settembre 2013 i vescovi di missione, Francesco ha ricordato che i Vescovi sono “sposi della vostra comunità, legati profondamente ad essa! Vi chiedo, per favore, di rimanere in mezzo al vostro popolo. Rimanere, rimanere… Evitate lo scandalo di essere ‘Vescovi di aeroporto’! Siate Pastori accoglienti, in cammino con il vostro popolo, con affetto, con misericordia, con dolcezza del tratto e fermezza paterna, con umiltà e discrezione, capaci di guardare anche ai vostri limiti e di avere una dose di buon umorismo”.
La doppiezza si vince con la verità che arriva guardando Gesù. Francesco, più volte, ha indicato come prioritaria la preghiera. “Il primo compito del Vescovo – ha detto nell’omelia della Messa a Santa Marta il 22 gennaio 2016, è stare con Gesù nella preghiera”, “non è fare piani pastorali” mentre “il secondo compito è essere testimone, cioè predicare: predicare la salvezza che il Signore Gesù ci ha portato”. Due compiti non facili ma che sono colonne della Chiesa. “Se queste colonne si indeboliscono, perché il vescovo non prega o prega poco, si dimentica di pregare; o perché il vescovo non annuncia il Vangelo, si occupa di altre cose, la Chiesa anche si indebolisce; soffre. Il popolo di Dio soffre”.
Nell’udienza ai vescovi del Movimento dei Focolari, 25 settembre 2021, Francesco ha spiegato che Papa e Vescovi sono “al servizio non di un’unità esteriore, di una ‘uniformità’, ma del mistero di comunione che è la Chiesa in Cristo e nello Spirito Santo, la Chiesa come Corpo vivo, come popolo in cammino nella storia e nello stesso tempo oltre la storia”. Davanti alle “ombre di un mondo chiuso” – ha aggiunto - dove tanti sogni di unità “vanno in frantumi”, dove manca “un progetto per tutti” e la globalizzazione naviga “senza una rotta comune”, dove il flagello della pandemia rischia di esasperare le disuguaglianze, lo Spirito ci chiama ad “avere l’audacia di essere uno”.
Francesco più volte ha esortato a riporre in Dio la fiducia quando si ha paura, senza cercare rifugio nel mondo, nelle sue gratificazioni perché solo in Lui si “allontana ogni paura”, si è liberi “da ogni schiavitù e da ogni tentazione mondana”. Nella Messa celebrata il 29 giugno 2014 aveva concluso la sua omelia con una preghiera intensa:
Il Signore oggi ripete a me, a voi, e a tutti i Pastori: Seguimi! Non perdere tempo in domande o in chiacchiere inutili; non soffermarti sulle cose secondarie, ma guarda all’essenziale e seguimi. Seguimi nonostante le difficoltà. Seguimi nella predicazione del Vangelo. Seguimi nella testimonianza di una vita corrispondente al dono di grazia del Battesimo e dell’Ordinazione. Seguimi nel parlare di me a coloro con i quali vivi, giorno dopo giorno, nella fatica del lavoro, del dialogo e dell’amicizia. Seguimi nell’annuncio del Vangelo a tutti, specialmente agli ultimi, perché a nessuno manchi la Parola di vita, che libera da ogni paura e dona la fiducia nella fedeltà di Dio. Tu seguimi!