La Quaresima è il tempo giusto per cambiare sguardo sulle cose. Lo è per ciascuno di noi e per le nostre comunità, nelle piccole cose di ogni giorno come sulle questioni importanti. “Convertitevi”, vi ho sentito spiegare più volte in qualche omelia, nel greco dei vangeli si dice “meta-noèite”, cioè, letteralmente: “cambiate mente”, trasformate il vostro modo di pensare.
È proprio in questa direzione che già da qualche tempo stanno andando i nostri sforzi di fronte alle principali sfide che il Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa si trova ad affrontare. Non è questo il luogo giusto per perdermi in disamine articolate o in lunghe ricognizioni tematiche. A mo’ di esempio voglio soffermarmi, visto che proprio in questi giorni state ricevendo il primo numero del 2023 della rivista “Sovvenire”, proprio su quelle pagine e sul sito Unitineldono.it.
Queste espressioni della nostra comunicazione cercano di tradurre lo sforzo che stiamo facendo, in questi ultimi tempi, per modificare il nostro modo di pensare le offerte per i sacerdoti e la loro urgenza. Tanto il sito quanto la rivista, fino a qualche tempo fa, erano decisamente centrati sulla figura del sacerdote e sul tentativo di esaltarne i meriti, per chiedere ai laici di fare offerte. Tutto giusto e tutto, naturalmente, lecito. Ora però vorremmo puntare maggiormente l’attenzione sul coinvolgimento della comunità nel far fronte alla gestione delle spese, comprese quelle per il sostentamento dei sacerdoti, uomini che a tempo pieno si dedicano ad essa. Le offerte per il clero, per la loro natura e finalità, sono un termometro che misura quanto le comunità ecclesiali stiano oggi crescendo nel loro sentirsi Chiesa-comunione. E promuovere le offerte significa anche promuovere la diffusione di una cultura della comunione ecclesiale, come il Concilio Vaticano Il ci ha indicato.
Ecco, quindi, come è nata l’idea del nuovo nome “uniti del dono”, ed ecco lo sforzo che stiamo facendo per cambiare la prospettiva delle storie che raccontiamo. Non vogliamo più narrare l’epopea del prete-eroe, che da solo salva il mondo e merita di essere sostenuto. Vorremmo invece raccontare la vita delle nostre comunità, di cui voi sacerdoti siete parte, dando voce a tutti. Naturalmente queste comunità si reggono sul servizio pastorale che voi sacerdoti offrite, ma il cambio di prospettiva è significativo.
Ultimamente lo sforzo di apertura sta assumendo una ulteriore nuova connotazione. Con quel che raccontiamo, specialmente sul web, vorremmo andare incontro anche a chi ha minore famigliarità con i nostri ambienti ma magari ha un’apertura di cuore verso il bene comune e un’apertura di mente che gli permette di riconoscere che dove c’è una comunità cristiana, e quindi dove c’è un sacerdote che può essere sostenuto, lì c’è una visione della vita e del mondo positiva, inclusiva e solidale. Cercheremo, quindi, di evitare un linguaggio per addetti ai lavori, spesso comprensibile solamente a chi è già dentro.
Il Papa stesso nel suo Messaggio per la prossima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali ci esorta a “parlare con il cuore”. “È il cuore – scrive Francesco – che ci ha mosso ad andare, vedere e ascoltare ed è il cuore che ci muove a una comunicazione aperta e accogliente”. Non vogliamo chiuderci nelle nostre chiese ma uscire e coinvolgere la comunità. Che ne pensate?
Massimo Monzio Compagnoni