Ecco una nuova puntata sul “sovvenire” nella Chiesa comunione di don Roberto Laurita pubblicato nel mensile Catechisti Parrocchiali di dicembre 2017.
Un imperatore romano, Giuliano (detto l’Apostata), che nel IV secolo combatteva i cristiani nel tentativo di ristabilire il paganesimo, in modo piuttosto irritato doveva ammettere: «Questi empi galilei (=cristiani) non nutrono soltanto i loro poveri, ma quelli degli altri, mentre noi trascuriamo persino i nostri». In effetti, come ricorda lo storico E.R. Dodds, l’attività delle Chiese cristiane a favore dei poveri è ampiamente testimoniata. Basta un solo esempio: alla metà del III secolo la comunità di Roma manteneva oltre 1.500 persone fra «vedove e poveri» (Eusebio di Cesarea). Lo stesso Dodds ricorda che «l’amore per il prossimo non è una virtù esclusivamente cristiana, ma si direbbe che… i cristiani l’abbiano messa in pratica molto più concretamente di qualsiasi altro gruppo. La Chiesa si curava delle vedove e degli orfani, dei vecchi, dei disoccupati, degli inabili; contribuiva alle spese dei funerali dei poveri e provvedeva al servizio di infermeria durante i periodi di epidemie».
Ecco cosa significava concretamente essere Chiesa, vivere la comunione. Le mille iniziative della carità non passavano inosservate e, spesso, inducevano le persone a convertirsi a Cristo. Del resto non è proprio la condivisione dei beni uno degli aspetti che caratterizzano la prima comunità cristiana?
LA PRIMA COMUNITÀ CRISTIANA
I discepoli di Gesù non erano tenuti insieme solo da alcune verità in cui credevano (il Credo) o dai riti sacri che compivano (i sacramenti), ma anche da un modo di vivere particolare. La loro prontezza nel portare aiuto materiale ai membri che si trovavano in carcere o in ristrettezze è attestata non solo dagli scrittori cristiani, ma anche da quelli pagani.
Se l’annuncio della Parola permette alla comunità cristiana di essere l’assemblea dei «convocati» nella libertà (questo è il significato della parola «Chiesa»), la comunione fraterna è la manifestazione visibile di questa libertà. Quelli che sono liberati dalla paura della morte e dall’egoismo possono stabilire rapporti nuovi con gli altri, che diventano visibili sul piano sociale ed economico nella distribuzione o partecipazione dei beni. Nel libro degli Atti degli Apostoli c’è scritto: «Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere… Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le condividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno» (2,42-45). Se si è fratelli non si può fare a meno di condividere l’esistenza degli altri, i loro problemi, le loro pene, le loro fatiche e, per questo, si è disposti a mettere i propri beni in comune.
UNA «CASSA COMUNE»
Così troviamo scritto nel libro degli Atti: «La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era in comune… Nessuno infatti tra loro era bisognoso perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno» (4,32-35).
La ragione profonda dello stare insieme è la fede in Gesù Cristo («coloro che erano diventati credenti»). Le due espressioni «un cuore solo» e «un’anima sola» sono riprese, rispettivamente, dal mondo ebraico e da quello greco ed evocano i rapporti di amicizia e di fraternità. Sul piano operativo questo diventa condivisione di beni. E un versetto dopo si spiega il modo in cui avveniva la distribuzione di beni. È una specie di «cassa comune», come si usava fare presso gli ebrei. In ogni comunità, infatti, esisteva una cassa per i poveri di passaggio e una per i poveri residenti. Ogni settimana gli incaricati passavano di casa in casa per raccogliere i fondi per le due casse.
Tra i credenti vi sono ricchi e poveri.
Ma come si fa a sopprimere la povertà?
«NESSUNO TRA LORO ERA BISOGNOSO»
Questa affermazione non manca di sorprendere: la comunità cristiana ideale fa sparire la miseria. Questo ideale era già stato annunciato nel libro del Deuteronomio, dove – a proposito dei poveri – si dice: «Non vi sarà alcun bisognoso in mezzo a voi; perché il Signore certo ti benedirà nella terra che il Signore, tuo Dio, ti dà in possesso ereditario…» (15,4). La promessa riguardo alla sparizione dei bisogni si attua grazie all’ascolto della parola del Signore: «Apri generosamente la mano al tuo fratello povero e bisognoso nella tua terra». Quello che nel Deuteronomio era un annuncio, una promessa fatta al popolo dell’alleanza, per Luca diventa una realtà grazie all’azione dello Spirito.
IL VANGELO DIVENTA REALTÀ
Cose di duemila anni fa? no, attuali. Ecco un esempio fra i tanti. Già dal 1998, in via Dupré, a Padova c’è il poliambulatorio Caritas-Cuamm che offre gratuitamente cure mediche a persone e famiglie in difficoltà. Com’è possibile? Grazie a un grande lavoro «di rete», cioè a molte collaborazioni: il Comune di Padova offre lo spazio, l’ONG cittadina «Medici con l’Africa» e l’associazione «Adam onlus» per la gestione, ma poi anche la Croce rossa, la grande mensa pubblica della Caritas (Cucine economiche popolari), fino alle Caritas parrocchiali e vicariali. E soprattutto molti medici volontari che offrono un po’ del loro tempo per i più sfortunati. Senza dimenticare tutti coloro che, con l’8xmille e le loro offerte alla Chiesa cattolica hanno assicurato un sostegno economico (la mappa delle opere 8xmille su www.8xmille.it).
Solo nei primi mesi del 2017 i pazienti che hanno chiesto terapie sono stati 318 di cui 95 minori. Gli 11 specialisti sono italiani, siriani, egiziani, iraniani, rumeni. Un esempio straordinario di… carità internazionale. Lo senti anche tu un po’ il profumo degli Atti degli Apostoli?