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della Conferenza Episcopale Italiana

Altri due sacerdoti “in corsia” al tempo del coronavirus

Hanno raccontato la loro storia significativa ed esemplare, ai microfoni della Radiovaticana, due sacerdoti che stanno offrendo il proprio servizio professionale e pastorale in questo drammatico momento. Si tratta di don Alberto Debbi a Sassuolo e di don Antonio Peraino a Trapani, medico il primo e cappellano ospedaliero il secondo. Don Alberto Debbi è tornato […]
23 Marzo 2020

Hanno raccontato la loro storia significativa ed esemplare, ai microfoni della Radiovaticana, due sacerdoti che stanno offrendo il proprio servizio professionale e pastorale in questo drammatico momento. Si tratta di don Alberto Debbi a Sassuolo e di don Antonio Peraino a Trapani, medico il primo e cappellano ospedaliero il secondo.

Don Alberto Debbi è tornato (temporaneamente) ad esercitare la professione di pneumologo all’ospedale di Sassuolo. “Di fronte al bisogno occorre mettersi a disposizione”: è la riflessione che ha spinto il sacerdote di 44 anni a indossare nuovamente il camice e lottare contro un male che sta colpendo tutti, giovani e anziani. Ordinato sacerdote nel 2018, oggi è vicario parrocchiale nell'Unità pastorale correggese “Beata Vergine delle Grazie”. Dal 2007 al 2013 ha esercitato la professione di pneumologo nel nosocomio della cittadina in provincia di Modena. Qui l’articolo e l’intervista concessa a VaticanNews (servizio di Paolo Ondarza).

E poi c’è anche la storia di don Antonio Peraino cappellano dell’ospedale di Trapani. “Anche chi vive alla soglia della comunità cristiana, si sente partecipe”, afferma il sacerdote del nosocomio siciliano che ogni giorno incontra i malati di Coronavirus.

Qui il servizio di Alessandra Zaffiro (Palermo) in cui si legge tra l’altro che ogni giorno don Antonio, indossando mascherina, cuffietta e copricamice per tutelare i pazienti e se stesso, porta con sé porta la prossimità, la vicinanza spirituale per far sì che al tempo del coronavirus l’ammalato, attraverso la sua presenza, avverta anche quella della propria famiglia, “perché in questo momento nel presidio ospedaliero non è consentito ai parenti di entrare nei reparti e nelle camere degli ammalati”, anche quelli non affetti dal Covid 19. “Talvolta gli ammalati, per evitare possibili contagi, si trovano da soli in una stanza, l’altro giorno – racconta don Peraino - passavo per i corridoi di ortopedia e una signora ricoverata mi ha chiesto il favore di attaccare il cavetto del telefonino alla spina per ricaricare il cellulare perché si stava scaricando e non avrebbe potuto parlare con la figlia: in quel momento capisci quanto sei importante per loro, perché sei l’unico punto di riferimento”.

Inoltre, continua don Antonio, “il far sentire, attraverso la mia presenza, la presenza della Chiesa innanzitutto, della propria famiglia, portando con me la presenza di Gesù Eucarestia è un balsamo, una medicina per loro. In modo particolare – aggiunge don Antonio – in questo periodo, anche chi è più diffidente nella Fede, che magari vive alla soglia della comunità cristiana, si sente partecipe: la preghiera, il sorriso, la tenerezza, la misericordia, tocca tutti quanti, tocca l’ammalato, ma anche me, come sacerdote, perché attraverso la loro testimonianza io sento viva la presenza di Gesù; anche attraverso una parola, detta in dialetto siciliano, u’ Signuri lu benidica (il Signore la benedica, ndr), per me è una grande forza, una grande energia a spendermi maggiormente”.