SERVIZIO PER LA PROMOZIONE DEL SOSTEGNO ECONOMICO ALLA CHIESA CATTOLICA
della Conferenza Episcopale Italiana

Quei parroci che hanno
aperto la canonica ai
fratelli

Una casa in canonica. L’ha aperta a Sant'Antonio di Savena, a Bologna, comunità di 6.500 abitanti, il parroco don Mario Zacchini. A chiunque abbia bisogno di un letto o di un tetto, di un pranzo o di una cena. Ma soprattutto di vivere aria di famiglia. Don Mario, 68 anni, sacerdote dal 1977, già vicario […]
2 Agosto 2017

Una casa in canonica. L’ha aperta a Sant'Antonio di Savena, a Bologna, comunità di 6.500 abitanti, il parroco don Mario Zacchini. A chiunque abbia bisogno di un letto o di un tetto, di un pranzo o di una cena. Ma soprattutto di vivere aria di famiglia.

Don Mario, 68 anni, sacerdote dal 1977, già vicario parrocchiale e missionario fidei donum in Tanzania, coinvolto il consiglio pastorale, ha reso la comunità sempre più ‘senza porte’.
La prima occasione arriva nel 1996: la Caritas diocesana ha bisogno di un luogo di vita comune per gli obiettori di coscienza. Negli anni, assieme agli obiettori, passano in parrocchia 180 giovani, di varie nazionalità, tra i 18 e i 34 anni: storie diverse alle spalle, alcune molto dolorose. Dagli studenti fuori sede a chi fuggiva dalla persecuzione, anche religiosa. Oggi la canonica di Sant'Antonio di Savena è abitata da una quindicina di giovani, italiani e stranieri (da Togo, Guinea, Senegal, Albania, Romania, Egitto), da due seminaristi (un bolognese e un romeno), da una famiglia bolognese e da un giovane parrocchiano.
«Il desiderio è condividere la vita di comunità - spiega don Zacchini - In Africa ho imparato che una sedia può reggersi anche su tre piedi. I nostri treppiedi sono l'accoglienza; l'importanza della tavola, come luogo d’incontro e dialogo; la preghiera, con la recita dell'ora media e la lettura del Vangelo. Anche la vita del prete sperimenta così la comunione, con meno solitudine».
La giornata in ‘casa-canonica’ vede come momenti centrali il pranzo e la cena. Ogni giovedì sera i ragazzi incontrano la comunità parrocchiale, con un tempo di adorazione eucaristica.
«La vita in comune, la vita di famiglia - evidenzia il parroco - aiuta a superare differenze e fatiche. Nelle storie di questi giovani ci sono le tribolazioni di Gesù. E quando uno dei nostri ritrova la sua strada e parte, è doloroso vedere un posto vuoto, sapendo quanti sono nel bisogno! Bisognerebbe averne più coscienza, anche nelle nostre comunità e nelle case».
Da 7 anni Tonin, studente universitario albanese di 26 anni, abita qui. «È un porto di mare! - racconta - C'è un movimento impressionante di popoli e culture diverse, ma anche di iniziative della parrocchia. È un segno grande per la mia fede!».
Nella comunità vivono anche famiglie di parrocchiani. «Sperimentiamo la ricchezza della condivisione - racconta Rosamaria, che vi alloggia con il marito Marco e i tre figli di 13, 9 e 3 anni - Don Mario è il papà di tutti. Come famiglia impariamo a non concentrarci solo su di noi, sui problemi di genitori, figli, coppia, perché coinvolti nelle storie di tante persone».
Sì, perché dalla canonica, a pranzo e a cena, ogni giorno passa qualcuno: fedeli per la preparazione di incontri o materiali, o qualche povero o senza dimora che i parrocchiani inviano. «Qui c'è sempre un posto per tutti - aggiunge Rosamaria - Come comunità siamo cresciuti nell'attenzione ai fratelli. Certo, questo è possibile perché c’è don Mario a fare da punto di riferimento».

 

 

 
IN TUTTA ITALIA
Se c’è posto per loro
nell’alloggio
All’indomani dell’appello di Papa Francesco (“Il Signore chiama a vivere con più generosità l’accoglienza nelle comunità, nelle case, nei conventi vuoti, che sono per i poveri, carne di Cristo. Certo non è semplice. Ci vogliono criterio, responsabilità, ma ci vuole anche coraggio. I poveri sono maestri privilegiati della nostra conoscenza di Dio”) crescono i sacerdoti che aprono le porte ai fratelli. Per lo più famiglie sfrattate o rifugiati. A Rosciano (frazione di Fano) la canonica della parrocchia di Santa Maria è stata ristrutturata per dare alloggio a 6 famiglie (23 persone) che causa licenziamento o cassa integrazione non riuscivano più a sostenere l’affitto. Oggi la Casa Sogno di Giacobbe, grazie al parroco don Giuliano Marinelli (al suo 50° di sacerdozio) e alla cooperativa ‘Casa accessibile’, è opera-segno diocesana. Innumerevoli le case parrocchiali o diocesane che ospitano profughi di guerra da Africa e Siria: a Sofignano (Prato), in diocesi di Messina (circa 500, comprese donne incinte e minori). Lo stesso fanno il parroco di Aurano (Napoli), don Antonio Lazazzera, e la sua comunità. Circa 80 parrocchiani di Ss. Salvatore, a Trapani, con don Sebastiano Adamo, hanno allestito negli ambienti parrocchiali alloggio e mensa per minori profughi non accompagnati, sbarcati in Italia. In risposta alla crisi occupazionale e abitativa già 25 le canoniche parrocchiali aperte in diocesi di Vicenza. Lo stesso vescovo, mons. Beniamino Pizziol, ha spiegato la scelta ai fedeli nella lettera pastorale ‘Non c’era posto per loro nell’alloggio’. E.P.