SERVIZIO PER LA PROMOZIONE DEL SOSTEGNO ECONOMICO ALLA CHIESA CATTOLICA
della Conferenza Episcopale Italiana

«L’azzardo non è un gioco e allunga i tempi della crisi»

Il gaming crea danni sociali e dipendenza, ma è tassato meno del pane. Sempre più sacerdoti lavorano per liberare pensionati e famiglie dall’illusione del ‘vincere facile’. Come don Armando, don Dario e don Giuseppe. Anche grazie alle nostre Offerte. Ecco dove li raggiungono le nostre Offerte
1 Novembre 2016
Testi di MANUELA BORRACCINO / SABINA LEONETTI / CLAUDIA BELLEFFI / TERESA CHIARI
foto di AGENZIA ROMANO SICILIANI (Pisa) / GIORGIO BOATO  (S. Vito al Tagliamento) / ANDREA MALTESE (Niscemi)

 

DON ARMANDO ZAPPOLINI PISA
«Basta pubblicità, il gioco è l’'eroina del XXI secolo»

“Per contrastare il gioco d’'azzardo bisogna colpire sia l'’offerta che la domanda” dice don Armando Zappolini, 59 anni, parroco di Perignano (Pisa) e portavoce della campagna Mettiamoci in gioco promossa da 32 associazioni nazionali, tra cui Libera. “Da una parte dobbiamo agire sul piano educativo, trasmettendo soprattutto ai giovani la bellezza dell’'impegno e del lavoro anziché il disvalore dei soldi facili e della fortuna. E dall’'altra arrivare al divieto assoluto della pubblicità diretta e indiretta del gioco d'’azzardo. Ci sono ben due disegni di legge fermi in Parlamento da più di un anno: questa lentezza tradisce la mano delle lobbies che hanno interesse a non farla approvare”.

Non usa mezzi termini don Zappolini, combattivo parroco originario di Pontedera, da anni in prima fila contro il dilagare di sale Bingo e slot-machines: “un’'emergenza che coinvolge a livello patologico oltre un milione di italiani, specie i più fragili, cioè anziani e giovani”. Don Armando, che rappresenta la Federazione Toscana nel Coordinamento nazionale delle Comunità di accoglienza (Cnca, formata da 260 associazioni in tutta Italia), vede scorrere davanti agli occhi gli innumerevoli volti delle persone cadute in questa forma di dipendenza, paragonata all’“eroina del XXI secolo”. “Non posso dimenticare un padre di famiglia che si tolse la vita buttandosi sotto il treno regionale che spesso prendo al mattino: penso alla sua solitudine, alla famiglia ridotta sul lastrico. Queste tragedie che ci segnano per sempre e ci danno la forza di non mollare, di continuare a battersi perché non avvengano più. Non è pensabile che lo Stato continui a dare concessioni e ad applicare tassazioni bassissime a società private che guadagnano sulla dignità delle persone”. M.B.

 

DON RONCADIN S.VITO AL TAGLIAMENTO (PN)
Prevenzione e testimonianze liberano dalla dipendenza

Una fede mai separata dalla vita quotidiana. Per don Dario Roncadin, parroco di San Vito, Modesto e Crescenzia martiri a San Vito al Tagliamento (Pordenone), la battaglia anti-slot è traduzione dell’'appello di papa Francesco a essere ‘Chiesa in uscita’.

Il suo impegno in difesa dal dilagare dell'’azzardo comincia nel 2014: con un gruppo di giovani apre un presidio locale dell'’associazione Libera (coinvolgendo anche il vicino comune di Casarsa), a sostegno della campagna nazionale anti-slot. “Ci ha sostenuto anche una ricerca della Caritas diocesana di Udine che denunciava una situazione allarmante: da novembre 2011 a ottobre 2012 attraverso i giochi erano stati rastrellati in Friuli Venezia Giulia 900 milioni di euro. Ci ha raggiunto inoltre il grido dei servizi sociali, che seguono casi di famiglie distrutte”.
Don Dario ha promosso una prima serata di sensibilizzazione, con la partecipazione di 200 persone, e la richiesta pubblica di spegnere le slot in alcuni periodi dell’anno. E i risultati sono arrivati. “L’'amministrazione ci ha sostenuto. Diversi cittadini si sono avvicinati e alcuni esercizi pubblici hanno aderito all’'iniziativa”.
Quindi a luglio scorso una serata di testimonianze, seguita da metà ottobre fino al 2 dicembre da un percorso formativo destinato a cittadini attivi in associazioni e gruppi, per monitorare bisogni, segnalare situazioni di disagio e fare prevenzione tra i giovani.
Anche attraverso interventi nelle scuole, con la cooperativa Piccolo principe, in collaborazione con l'’azienda socio-sanitaria su bando regionale.
«La fede non è un mondo lontano dalla quotidianità della mia gente. Per noi diventa un'’esperienza di cittadinanza attiva e responsabile. La Chiesa non è una palestra di atleti: è un ospedale da campo dove incontri quotidianamente situazioni dolorose, da fasciare e curare». C. B.

DON GIUSEPPE CAFÀ NISCEMI (CL)

«Quegli ex giocatori che si riprendono la vita e trovano la fede»

Dire no alla diseconomia e ai disvalori che le slot machines impongono è una sfida, soprattutto culturale e pedagogica. A Niscemi, cuore della Sicilia, a 70 chilometri da Caltanissetta, don Giuseppe Cafà, 44 anni parroco del Sacro Cuore, quartiere periferico da 10mila abitanti, nel suo apostolato contro il gioco patologico è partito 3 anni fa da una storia di “menzogne”. Un padre di famiglia gli aveva chiesto aiuto per la spesa, perché la ditta tardava a versargli lo stipendio. Don Giuseppe gli aveva domandato riferimenti sull’'azienda. Erano arrivate risposte vaghe.

Poi aveva proposto un incontro con la famiglia per una cena in parrocchia. Netto rifiuto. Fino alla confessione: “Oggi mi sono giocato tutto lo stipendio di questo mese, don Giuseppe mi aiuti”. “Non sono riuscito a convincerlo a tornare da me - racconta il parroco - non l’ho più visto, ma ho deciso di affrontare questa ‘malattia’ perché in paese ci sono oltre 150 bar dove giocare. Ho scritto agli esercenti che ammettono le slot machines, supplicandoli di spegnerle durante il triduo pasquale. Non ho avuto risposta, ma solidarietà dei cittadini sì. E soprattutto ho sensibilizzato al problema: nei bar almeno se ne parlava. Il prefetto di Caltanissetta rilevava che era tutto legale (fonte prima per gli esercenti, in media le macchinette fruttano 800 euro al mese). Ma non il fatto che ci fossero 3 bar di fronte alla mia parrocchia (le slot devono distanziarsi di almeno 500 metri dai luoghi sensibili: scuole, chiese, ospedali). Così, oltre alla nostra mensa per i poveri in collaborazione con la chiesa evangelica avventista, ho dato vita ad un Centro d’ascolto, intitolato a Santa Madre Teresa di Calcutta: un osservatorio a 360 gradi sulle povertà, con 9 volontari, tra cui due insegnanti, un assistente sociale e un carabiniere. Lavoriamo con una rete anti-dipendenze: il Sert, lo sportello del Comune, la casa famiglia ‘Rosetta’ di Caltanissetta, l’'associazione antiracket e usura di cui faccio parte. Monitoriamo i bisogni in parrocchia, facciamo visite a domicilio - con 10-15 casi al giorno - perché la povertà è soprattutto interiore. In cambio di aiuto nei lavori domestici, provvediamo spesso al pagamento delle utenze e dei pasti. E tanti che si rivolgono a noi si sono riavvicinati alla fede. Grazie alla consulenza gratuita di un legale riconciliamo famiglie ferite, perché impoverite e ingannate troppo a lungo dai giocatori compulsivi. Se la famiglia è salda si guarisce anche dalle dipendenze”. S.L.

 

COMUNITÀ E DIOCESI

L’'Italia primo mercato europeo dei giochi e sempre più parroci provano a dire no

L’'azzardo, anestetico nelle difficoltà della vita. E tragico abbaglio, che in poco tempo spazza via reddito e affetti. L'’Italia è il Paese dei record per scommesse di massa, fatturato (90 miliardi, con 428 mila slot, 33.600 gratta-e-vinci venduti al minuto, cifre senza paragoni nei Paesi occidentali), pubblicità, evasione fiscale dei concessionari, costi della ludopatia. È la terza industria nazionale. Poi c’è il business illegale, controllato dalle mafie.

Secondo la Consulta anti-usura, coinvolgerebbe occasionalmente 7 cittadini su 10, oltre un milione a rischio dipendenza, e un adolescente su 4. Sempre più nascosti, con poker on line e scommesse sportive da cellulare. Quello della ‘svolta’ è solo pensiero magico. Gli algoritmi rendono pressoché impossibili le vincite, ma a suon di spot si riduce la condanna sociale di chi ‘gioca’. “Uomini e donne piegati su una macchinetta sono i terminali di un circuito di predazione finanziaria che ha la sua testa nello Stato e il suo cuore in società offshore” ha scritto Marco Dotti, esperto di ludopatie. L’'azione dei sacerdoti da decenni va controcorrente. Da padre Massimo Rastrelli, già ‘parroco dei vicoli’ al Gesù Nuovo di Napoli, che denunciava: “Con il gioco lo Stato alimenta l’'usura” e con don Alberto D'’Urso di Bari promotore delle Fondazioni anti-usura.

Fino a don Daniele Pollio, parroco di Santa Sofia, grazie a cui Anacapri è diventata il primo comune italiano anti-slot: “Basta speculare sulla dipendenza delle persone”. Dai preti che hanno invitato a scegliere solo bar ‘no slot’, come don Renzo Lenzi di Viareggio e don Virginio Colmegna a Milano, a don Alberto Canuzzi del Ceis anti-dipendenze di Viterbo, fino a parroci attivi nella campagna ‘slot-mob’ nelle piazze. Tra le diocesi, citiamo il progetto triennale ‘Game over’ di Messina-Lipari-S.Lucia del Mela: grazie a 60mila euro dall’'8xmille ha agito sulla prevenzione, anche con la campagna di affissione Più giochi, più perdi. È matematico. T.C.