SERVIZIO PER LA PROMOZIONE DEL SOSTEGNO ECONOMICO ALLA CHIESA CATTOLICA
della Conferenza Episcopale Italiana

La condivisione evangelica, risposta a crisi e paure

1 Giugno 2016

Testi di Elisa Manna – foto CREATIVE COMMONS/CARLA MORSELLI

 

““Compassione, condivisione, Eucaristia. È la logica di Dio - ha detto Papa Francesco riflettendo su società ed economia - È il cammino che Gesù ci indica, via autentica di umanità. Ci porta ad affrontare con fraternità i problemi di questo mondo. La solidarietà non deve spaventarci: quel poco che abbiamo, se condiviso, diventa ricchezza”. Su questi temi, che sono poi quelli del sovvenire, proponiamo un’analisi di Elisa Manna, sociologa del Censis e componente del Comitato Cei per il sostegno economico alla Chiesa. “La condivisione non è buonismo, ma un tema dallo straordinario potenziale di rinnovamento, specie oggi - spiega Manna - Una molteplicità di eventi in pochi anni ha prodotto in noi la percezione non di un’epoca di cambiamenti’ ma, come ci avverte il pontefice, di un ‘cambiamento d’epoca’”. Ecco che cosa significherà per le nostre vite nel futuro prossimo.

 

LA TEMPESTA QUASI PERFETTA

In passato - dall’invenzione della stampa ai primi aeroplani- i cambiamenti erano per lo più graduali: incidevano sulla vita di nicchie di popolazione, ampliandosi col tempo. Oggi viviamo invece una congiuntura unica: un conglomerato di cambiamenti (guidati dalla tecnologia) ci portano al “capolinea della Storia” e tutti ne siamo consapevoli: anche il meno attento si rende conto, ad esempio, che quello che succede in Africa non è più qualcosa che possiamo ignorare, dopo qualche lacrima. Oggi sappiamo che la miseria, la paura, la guerra che i popoli extraeuropei vivono, possono interessarci molto da vicino in termini geopolitici o di ondate migratorie. Le previsioni ci dicono - con buona pace di quanti credono a muri di contenimento - che difficilmente l’esodo si fermerà. E un recente studio ONU indica che gli italiani hanno bisogno, tra bassa natalità e invecchiamento della popolazione, di migranti per la sostenibilità del welfare.  Questo processo, con la lunghissima crisi economica, configura una “tempesta quasi perfetta”: come si potrà vivere in pace a fronte di squilibri economici e di benessere destinati ad accrescersi? Il nostro modello culturale (ruvidamente individualista e liberista) in cui le discriminazioni sociali sono andate acuendosi, potrà mai reggere l’impatto di un confronto ravvicinato con masse sofferenti e disperate?
Si dice che ci conviene essere più giusti e pronti alla redistribuzione dei beni per evitare violentissimi scontri sociali. Ma la logica della convenienza ci impedisce un’evoluzione vitale per il futuro. Un po’ come parlare dei beni culturali in Italia come “miniera d’oro”, evidenziando il valore assoluto del denaro, senza capirne la portata universale.  Così a breve dovremo prendere coscienza che la distribuzione del benessere è frutto di scelte storiche e ideologiche, e che non è merito nostro se siamo nati dalla parte giusta e demerito di altri se sono nati dalla parte oggi sbagliata. Serve piuttosto una presa di consapevolezza fusionale, profonda, ecumenica, rendendoci conto che siamo tutti in comunione: di aria, di energia, di vita. Se guardiamo le cose da questa altura, allora la condivisione di beni diventa naturale, spontanea come un frutto maturo. 

 

SIAMO UNA SOCIETÀ IRRIMEDIABILMENTE INDIVIDUALISTA?

Ma la società è pronta? Ci sono sporadici segnali ‘condivisivi’, ma alcuni sono figli del disorientamento. Per esempio, tra le generazioni si tende a condividere ogni argomento (anche i pasticci sentimentali dei genitori forever young), i modi di abbigliarsi, pettinarsi e tatuarsi. Ma non è questa la condivisione che ci interessa. C’è invece consapevolezza nel volontariato: oggi è praticato dal 12,6% degli italiani (il doppio del 1993, 6,9%). Una nuova disponibilità a condividere, in conflitto però con comportamenti più diffusi. Non è facile in un’epoca di narcisismo adolescenziale di massa la nuova maturità necessaria: una ricerca Censis 2015 indica sì la condivisione di auto (car sharing), casa o vacanze. Ma è vera disponibilità o solo il tentativo di ammortizzare le spese per la crisi? Di salvaguardare il proprio benessere?
E il tempo? Quanto poco ne condividiamo, sempre al cellulare, anche quando usciamo con chi scegliamo di vedere? E condividere sembra difficile pure quando si ama: le faccende di casa sono motivo di crisi per 6 coppie su 10. E anche in Italia (c’è una proposta di legge al riguardo) si parla di “patti prematrimoniali”. Come dire che non si è fusionali neanche nella fase dell’innamoramento.
Anche nei comportamenti di solidarietà, un’analisi Doxa mostra quale primo motivo per fare una donazione la ricerca medica (68%), poi le emergenze (22%) e in fondo ‘aiuti ai bambini’ (1%). Cioè si investe su ciò che può interessare la propria salute, ma con items altruistici all’ultimo posto, preceduti da donazioni per gli animali, il patrimonio artistico o l’ambiente.
E la condivisione di tutto sui social media? Spesso è solo esibizionismo, paura della solitudine, bisogno di affermazione, o gossip, neanche tanto benevolo.

APERTURE FINORA IMPENSABILI

Ma va capito meglio l’individualismo di oggi. In tanti enfatizziamo l’influenza dei contenuti mediatici scadenti o violenti sulla psiche dei ragazzi. Ma nei dati scopriamo che i giovani hanno aspettative di sicurezza, di rapporti affettivi solidi. Di far riferimento a qualcosa di buono e forte, di una comunità di ‘cittadini del mondo’. Così oggi non conosciamo le risorse della contemporaneità. Delle donne si parla per lo più per il corpo (sia se svelato dalla pubblicità occidentale, sia se occultato dai burqa). E del bisogno di riconoscimento sociale, di collaborare per costruire qualcosa di buono per se stesse e la società, che sappiamo? Così, ignoriamo come i profondi cambiamenti nel lavoro abbiano modificato la percezione di sé e del futuro: diversi osservatori spiegano che da questo sfarinamento è nato il populismo dei nostri anni.  Ma nella società si intercettano piccoli segnali che sono vere schegge di luce: nella ricerca per il Vicariato di Roma Famiglia e fede si rileva ad esempio che, tra i non credenti cresce un bisogno di speranza, di uscire da se stessi, sollecitato anche dalla fiducia in Papa Francesco, visto come “il principale punto di forza del cattolicesimo”. Mostra crepe cioè una visione tutta risolta nell’edonismo, nell’individualismo. Si è stanchi di farsi “i fatti propri”, si desidera una figura carismatica che ci guidi verso il bene della società. Anche nel mondo cattolico si segnalano aperture fino a pochi anni fa impensabili, con un bisogno di ritrovare radici, sentimento, significato a una fede ‘anemica’ da troppo tempo. E, per converso, in certe rigidità si sente una fede che ha perso il contatto con la sua origine, una paura del nuovo che va compresa. 

IL CRISTIANESIMO, SPERANZA PER IL MONDO DI OGGI

Abbiamo bisogno di riscoprire le nostre possenti radici cristiane in modo contemporaneo, coraggioso, creativo, perché nei secoli hanno prodotto assistenza, solidarietà, attenzione agli ultimi, e ora possono produrre difesa della dignità dell’uomo di fronte ad interessi colossali e sovranazionali. Possono portare speranza e condivisione. Nel mondo che viene condivideremo sempre più i territori, l’inquinamento, i dissesti geopolitici. Allora possiamo condividere anche il conforto spirituale e materiale. Abbiamo bisogno di una conversione culturale, di una presa di coscienza storica per ritrovare e annunciare agli altri un senso dell’umano che pone al centro la persona con la sua necessità di dignità, di ricevere e dare amore. Che poi è un modo diverso per dire Misericordia.