SERVIZIO PER LA PROMOZIONE DEL SOSTEGNO ECONOMICO ALLA CHIESA CATTOLICA
della Conferenza Episcopale Italiana

Dal bene confiscato al bene comune

Più del 23% dei beni confiscati alle mafie, e diventati esperienze di riutilizzo a fini sociali, sono riconducibili all'impegno della Chiesa italiana. Si tratta di 155 esperienze, su un totale di 671, nate e sviluppatesi in 13 regioni e in 46 diocesi. Luoghi di aggregazione e accoglienza, ma anche occasioni di lavoro vero e pulito. […]
27 Novembre 2017

Più del 23% dei beni confiscati alle mafie, e diventati esperienze di riutilizzo a fini sociali, sono riconducibili all'impegno della Chiesa italiana. Si tratta di 155 esperienze, su un totale di 671, nate e sviluppatesi in 13 regioni e in 46 diocesi. Luoghi di aggregazione e accoglienza, ma anche occasioni di lavoro vero e pulito.

Le racconta il dossier «Libera il bene, dal bene confiscato al bene comune», con sottotitolo «L’impegno della Chiesa italiana nei percorsi di legalità e giustizia sociale», che è stato consegnato a Cagliari ai partecipanti alle Settimane sociali e poi distribuito in tutte le diocesi.

È il frutto della collaborazione tra l’associazione Libera e la CEI, in particolare l’Ufficio nazionale per i problemi sociali e del lavoro, il Servizio nazionale per la Pastorale giovanile, la Caritas italiana, il Progetto Policoro (sostenuto anche dall’8xmille destinato alla Chiesa cattolica). Ed è stato affiancato nei mesi scorsi (ma si andrà avanti ancora) da una serie di corsi di formazione destinati proprio agli operatori diocesani e delle associazioni del volontariato cattolico.

«Oggi – si legge nell'introduzione del Segretario Generale della CEI, Monsignor Nunzio Galantino – diverse diocesi con i loro Pastori, tante parrocchie, Caritas territoriali, fondazioni, gruppi scout, comunità, associazioni di volontariato e cooperative sociali, utilizzano i beni confiscati alle mafie per gli scopi di promozione educativa e culturale, formazione e accoglienza, di lavoro e impresa sociale – come le cooperative Libera Terra e del Progetto Policoro – trasformando luoghi di violenza e di morte in segni e gesti di nuova vita».

Delle 155 esperienze 38 sono in Sicilia, 34 in Calabria, 30 in Lombardia, 19 in Puglia, 17 in Campania, 4 in Piemonte, 3 in Liguria, Lazio e Sardegna, 1 in Triveneto, Emilia Romagna, Toscana, Abruzzo. Per quanto riguarda le tipologie, 53 sono gestite da associazioni, 28 da cooperative, 27 da diocesi e parrocchie, 13 dai gruppi scout Agesci, 10 da fondazioni, 9 da Caritas, 6 da Associazioni temporanee di scopo, 4 da comunità, 3 da consorzi di cooperative, 1 da enti di formazione.

Come è evidente dai numeri e come sottolinea il dossier, «il riutilizzo dei beni confiscati costituisce un’opportunità di lavoro per i giovani, coniugando e integrando la dimensione economica con quella etica e sociale, nella sperimentazione di soluzioni innovative relative alla valorizzazione e all’auto sostenibilità».

Fondamentale, proprio per questi progetti, il ruolo delle «organizzazioni facenti parte della filiera di supporto al Progetto Policoro» e il sostegno della Fondazione con il Sud.

Iniziative che sicuramente trovano linfa vitale nelle parole di Papa Francesco e nei documenti della Chiesa coi quali si apre il dossier. Ma gran parte è dedicato al lunghissimo elenco delle belle esperienze divise per Regioni ecclesiastiche. Per ognuna si spiega chi è il gestore del bene confiscato, una breve storia e quali attività vengono svolte. Ed è davvero una geografia di una bella Italia e di una Chiesa che si sporca le mani.

Limitandoci a qualche flash sul tema del lavoro, ricordiamo in Calabria l’ostello gestito a Locri dal Consorzio Goel, le cooperative sociali Valle del Marro di Polistena e Terre Joniche di Isola di Capo Rizzuto. E ancora in Campania, a Quindici, il maglificio 100Quindici gestito dalla cooperativa sociale Oasiproject, a Melizzano, la cooperativa sociale Sant’Alfonso che gestisce un centro di recupero di rifiuti elettrici, a Battipaglia il Bar 21, a Casal di Principe la cioccolateria dove lavorano sei ragazzi disabili, gestita dalla cooperativa Davar, nata dalla collaborazione tra l’Azione cattolica e la parrocchia di san Nicola, dove fu parroco e venne ucciso don Peppe Diana. In Emilia Romagna, a Bertinoro, la cooperativa Forma.b. si occupa di reinserimento lavorativo, in particolare nel settore ambientale.

Tornando al Sud, in Puglia troviamo a Sant’Erasmo in Colle la cooperativa sociale Sulle che poi, assieme alla cooperativa Fonte viva e all’associazione Abusuan ad Acquaviva delle Fonti, gestisce un progetto di inserimento lavorativo per migranti. E ancora a Cerignola le cooperative Pietra di Scarto e Altereco, e l’associazione volontari Emmanuel.

In Sardegna, a Girgei, l’associazione La Strada, che con l’agricoltura attua progetti di recupero di carcerati. Infine in Sicilia le cooperative sociali Rita Atria (Mazara del Vallo), Nuovi Percorsi (Nicosia), Rosario Livatino (Agrigento), Ecosmed (Messina). Tutte storie che vedono protagonisti vescovi, parroci, volontari. E che stanno offrendo tante occasioni di lavoro.